UN NERO A VALGUARNERA

Jean, un africano che da giovane, molti decenni prima, era stato a Valguarnera ospite dell’amico Enzo, riceve una lettera che lo induce a ritornare in paese. È ancora una volta ospite del vecchio amico che, per l’occasione, è ritornato anche lui. Escono da casa per fare quattro passi.

Più o meno a metà della strada furono avvicinati da un signore sulla sessantina; si parò davanti a loro allargando le braccia e, con affettuosità fraterna, abbracciò Enzo e lo baciò sulla guancia, come era usanza consolidata, quando un caro amico era stato lontano da Valguarnera.

«Era tempo che tornassi a trovare gli amici», disse allegramente; Enzo ricambiò il saluto dell’amico e di rimando disse:

«Nino, ero sicuro che il primo amico con il quale mi sarei incontrato saresti stato tu, vecchio maratoneta: sempre Canal e castjdd. Sono arrivato ieri sera e stamattina sono andato alla stazione di Catania a prendere il mio caro amico Jean».

Enzo notò che Nino era ansioso di dire qualcosa a proposito del suo compagno, e che continuava a guardarlo senza creargli imbarazzo; ma prima di cedergli la parola, aggiunse una battuta nell’intento di introdurre Jean:

«Ho sempre invidiato la tua memoria, specialmente quella visiva, di conseguenza non dovrebbe essere difficile per te ricordarti di Jean, il mio amico africano».

Con misurato stupore, di sicuro la sua proverbiale memoria non l’aveva tradito, cercò la mano di Jean e con calore gliela strinse; questi, preso alla sprovvista, ricambiò con un largo sorriso la stretta, pronunciando il suo nome. Nino si presentò anche lui in modo cortese e, schiettamente, aggiunse:

«Sarò sincero e non potrebbe essere altrimenti; non appena vi ho intravisti da lontano, ho subito realizzato che la persona in tua compagnia doveva essere quel ragazzino che tanti anni fa soggiornò a casa tua. Ciò non è solo da attribuire alla mia memoria, ma soprattutto al fatto che ogni tanto ne abbiamo parlato …», per un attimo lasciò in sospeso le ultime parole e ammiccando, aggiunse:

«N am sèmpr parràt bwn, in quanto la stima che Enzo ha per te è fuori discussione».

«Grazie», rispose lusingato Jean, dopo la puntuale traduzione di Enzo. La misurata irruenza di Nino e il suo fitto parlare lo divertiva, e le contaminazioni dialettali, denotavano il suo attaccamento alla terra d’origine. Mentre lo guardava, così piccolo, esile e proporzionato, per un momento gli sembrò che potesse trattarsi di quel N‘nùzz: ragazzino agile e generoso, dei tempi passati. Senza rendersene conto e, per una strana alchimìa, in quell’atmosfera paesana incominciavano, seppur faticosamente, a fare capolino antiche immagini.

«Non vorrei illuderla, ma anch’io ho la sensazione che in “un’altra vita” ci siamo incontrati», disse Jean con una sottile vena di divertimento, contagiato oramai dai modi cordiali del nuovo arrivato.

«Grazie! Vuol dire che sono un tipo che non passa inosservato e, se non è un problema, mi piacerebbe che ci dessimo del tu».

«E come potresti passare inosservato!», disse festoso Enzo. Jean senza perdere tempo confermò che per lui il tu andava benissimo, perché lo metteva più a sua agio. La risposta di Jean sciolse Nino ancora di più, se poi era possibile e, con rinnovato fervore, disse:

«E’ la mia indole; sono convinto che la vita è irripetibile e, ogni giorno un regalo, dono da utilizzare nel migliore dei modi. Non mi illudo di essere indispensabile ma ho una mia piccola massima: non son d’accordo con coloro i quali dicono che i cimiteri sono pieni di gente indispensabile; nel mio piccolo, io dico invece, che i camposanti sono pieni di persone uniche e irripetibili». Capì che stava andando oltre per essere il primo incontro e chiuse il discorso, fissando il fondo della strada, appagato.

«La metti già sulla filosofia? Dacci tregua! Avrai modo e tempo per illustrare la tua “famosa” teoria che, seppur condivisibile, è difficile da applicare nei momenti di magra», disse Enzo con complicità, ridendo di gusto.

Con una punta di orgoglio, Nino aggiunse che per affrontare correttamente la quotidianità, tutto poggiava su un rigoroso esercizio; era un sistema personalizzato ricavato da un episodio occorsogli quando frequentava la terza elementare. Però, per non spararsi tutto al primo incontro, disse che era atteso dalla moglie per delle commissioni, ma l’avrebbe fatto sicuramente, con calma e spiegando bene, alla prossima opportunità.

«Senti N’nùzz, Jean si trattiene da noi per una decina di giorni, e gli ho promesso di fargli fare qualche giro nei dintorni, te ne avevo accennato giorni fa; riusciremo ad organizzare una gita in questa settimana?»

«Amico mio, N’nùzz tuo, ti toglie subito le castagne dal fuoco; domani non mi è possibile ma per sabato, insieme a Franco e Carmelo, avevamo pensato di fare un puntatina al castello di Gresti; se per quel giorno non avete impegni, potreste unirvi a noi; sarebbe perfetto, che ne pensate?»

«E’ fatta! Come sai, avevo in mente di portare Jean anche lì e gliene avevo già accennato; saremo della partita, non è vero Jean?»

«Sarà un vero piacere per me», rispose con ilarità quest’ultimo.

«Se le cose stanno così, non vogliamo sapere altro, passate voi sabato mattina?»

«Alle otto in punto», disse con sicurezza Nino; poi, guardandosi attorno, aggiunse che era tempo di raggiungere la moglie e che, con dispiacere, doveva congedarsi da loro. Dopo aver dato una calorosa stretta di mano ad entrambi, si diresse di buon passo verso u Canal.

Rosario Sardisco, Un nero a Valguarnera, Editrice FCF, Valguarnera 2015

Cerca in Valguarnera da leggere