Giuseppe Loggia nacque a Valguarnera nel 1889. Di famiglia modesta, venne avviato al mestiere di stagnino, ma sin da giovane fu attratto dalla lettura e dal desiderio di dare risposta ai quesiti sui massimi sistemi che andavano nascendo nella sua fertile mente. Si avvicinò al socialismo e frequentò Francesco Lanza. Nel 1925 ebbe il coraggio di richiedere ad alta voce alla banda municipale che si esibiva nell’attuale piazza della Repubblica, di intonare l’“Inno dei lavoratori” al fine di controbilanciare “Giovinezza”, la canzone emblema del nascente regime fascista, che il maestro aveva appena eseguito. Fu di conseguenza costretto a riparare in Argentina dove alternò il mestiere di vetraio a quello di attore del cinema muto. Ateo militante, ebbe a Buenos Aires una repentina conversione. Tornato in paese, salutò dalla banchina della piazza l’arrivo delle truppe alleate. Presto, però, abbandonò la politica attiva per dedicarsi allo spiritismo, alla meditazione (passò nel dopoguerra alcuni anni nel “romitorio” di Monte Scarpello, presso Catenanuova) e alla scrittura che riteneva essergli ispirata direttamente da Dio.
La “filosofia” che animò i suoi endecasillabi era un miscuglio di cristianesimo e di induismo. Credeva nella reincarnazione e riteneva che il suo spirito avesse, di volta in volta, preso le sembianze di Lucifero, il capo degli angeli ribelli, di Dante e dello stesso Cristo. Si trasferì a Roma dove, facendo leva sull’eloquio erudito sull’imponenza ieratica del suo aspetto, esercitò il mestiere di chiromante presso un luna park e intrattenne rapporti con ambienti analoghi a quelli che faranno da sfondo alle pagine centrali del romanzo di Umberto Eco “Il Pendolo di Foucault”; ambienti frequentati da visionari incompresi e da geni deliranti, oltre che da furbi profittatori i quali, sommergendo il Nostro di medagliette, di diplomi vari e di lauree honoris causa rilasciate da fantomatiche università, giunsero a fargli credere alla candidatura al premio Nobel per la letteratura o al fatto che il “Ciclo dell’Illustre e Sommo Poeta Giuseppe Loggia da Valguarnera” fosse da considerare come il terzo della storia dell’Umanità, dopo quello biblico e quello dantesco. Pubblicò, a tre riprese e a proprie spese, raccolte dei propri scritti: “La Genesi”, “Il Paradosso politico”, etc.
Visse asceticamente e prima di morire (a Catania nel 1981) investì gli introiti dell’attività di chiromante nel rinnovamento del sito della Santa Croce che domina il paese con l’obiettivo di farlo diventare un centro di irradiazione del cristianesimo da lui rivisitato. Così non fu ed attualmente il degrado del posto (la cappella semidistrutta, la ruggine del Crocifisso-traliccio, le antenne televisive e dei cellulari che hanno preso il posto dei due ladroni, le erbacce ed i profilattici che cospargono il suolo) suona quale beffardo commento ai sogni di Peppino Loggia.
I suoi versi nascono con ogni probabilità dalla tradizione dei “poeti contadini” di cui era ricco il paese quando egli era giovane, si nutrono della lettura di Dante, Parini, Foscolo,ecc. rivelando, al di là dei contenuti, quelle non comuni doti di rimatore che fanno meritare al “profeta-filosofo” il posto che gli compete nell’antologia che abbiamo intitolato “Valguarnera da leggere”. La critica, interessata o partorita dagli ambienti surreali cui si è fatto cenno, non aiuta molto il lettore. Basti fra tutti il seguente incredibile brano dovuto alla penna della Senatrice (attenzione, non membro del Senato della Repubblica, ma di quello di fantasiose accademie dedite allo studio delle scienze del paranormale) Cantelli di Rubbiano: “In verità mi sono soffermata sui mille aspetti ed impronte relative ai soggetti significativi pensati svolgendo le evoluzioni organiche naturali, proiettate durante il tempo dei trasbordi secolari intesi, di prove e scismi; malintesi creativi in giurie malsane di esseri che vivevano in nebulose oscene di vizio non veduto, per ragioni misteriose creative. Questi non volevano un volere per necessità organiche fluenti nel magnetico azoto definito per molti creati all’immagine e somiglianza di Dio. Essi non dovevano invadere la terra per smarrirsi, ma rifarsi. Lo Scrittore ha tracciato un periodo costruttivo, prezioso e ragguardevole per gli esseri stazionanti sulla terra, in movimento iroso letterario astronomico dei piani creati nel fascio delle lingue di fuoco di prestigio in prova (…)”. E via farneticando.