Soleva dapprima dire, intendendo soltanto di se medesimo, che il governo della cosa pubblica, potere, privilegi, onori spettano al più abile per forza di ingegno e naturale disposizione, dove l'una e l'altra erano in lui scaltrezza e calcolo dei sentimenti e delle occasioni; e poi che il potere è un attributo del censo...
Fece la scelta, giustificandola... con la necessità di rafforzare il partito..., ma in realtà mosso dal momentaneo profitto e dalle maggiori probabilità per il futuro di sorpassare gli altri..., fino ad essere il solo arbitro....
Delle cariche era certo di disimpegnare gli obblighi per il solo fatto di occuparle e confondeva della propria umanità il gioco incessante col bene e l'utilità popolari...
Degli uomini si serviva finché gli tornava conto e non gli davano ombra; e disfacendosi degli irriducibili o emuli si circondava di degni scagnozzi per i suoi colpi mancini.
Francesco Lanza Ritratto di uomo politico
II.1 La vita sociale di Valguarnera, nei due decenni successivi alla sommossa popolare del 25 dicembre 1893, fu vieppiù priva di sentimenti e di emozioni, contrassegnata «dalle mene politiche, dalle ottuse ambizioni e dalla dozzinale astuzia» di pochi protagonisti.
La «furbizia del notabilato locale e il tornacontismo di alcune squallide consorterie» furono le tipiche espressioni della pessima interpretazione che venne data nel paese del sistema rappresentativo e della democrazia liberale, prima del loro crollo sotto i colpi di scure del fascismo.
All'epoca dei Fasci era sindaco del Comune Gaetano Prato, appartenente alla più ricca famiglia del paese, eletto e sostenuto da un Consiglio Comunale quasi unanime, composto dai rappresentanti delle famiglie più «nobili» o «civili» della comunità e da qualche loro adepto.
Sin da prima della formazione dello Stato unitario, alla amministrazione del Comune e ai vertici degli enti morali ed economici esistenti in Valguarnera (il Monte Frumentario F. M. Castellano sorto prima, la Congregazione di Carità e l'Infermeria Civica istituite dopo) si succedevano gli esponenti delle famiglie più altolocate e i loro affiliati; essi, dopo l'Unità, si insediarono in permanenza anche negli organismi interni del Comune considerati di massima importanza per i fini personali e clientelari, quali le commissioni per l'edilizia privata, per le imposte di famiglia e sul valore locativo, per la tassa sugli esercizi commerciali, per la vigilanza nelle scuole, per le imposte dirette.
Dopo i fatti del 1893 il Municipio venne ipotecato, ancora per venti anni, dagli stessi notabili e maggiorenti e dai loro parenti e affini, con l'inserimento ogni tanto - attraverso la farsa delle elezioni amministrative - di singolihomines novi, più propriamente clientes, persone di fiducia, depositari dei segreti e gendarmi delle posizioni strategiche dell'uno o dell'altro capo-clan.
E' facile constatare tutto ciò fermando l'attenzione sui nomi dei sindaci , degli assessori municipali e dei consiglieri comunali riportati in appendice, molti dei quali occupavano un grado elevato nella scala sociale ed erano decorati di un'insegna cavalleresca.
E' da tener presente, peraltro, che alla fine del secolo XIX il numero di cittadini valguarneresi iscritti nelle liste elettorali era molto basso, 718 al 27 giugno 1894 e 712 al 3 novembre 1899, appena il 5% della popolazione residente (nel comune di Enna la percentuale era del 3,9 %). Il dato varierà negli anni successivi solo di qualche unità, sino a quando nel 1912, con il suffragio elettorale allargato voluto da Giolitti, sarà accordato il voto a tutti i cittadini maschi a 30 anni di età e a coloro che - avendo compiuto 21 anni - si fossero trovati in possesso di particolari requisiti.
La popolazione residente a Valguarnera intorno al 1895 era assai numerosa, avendo raggiunto 14.000 abitanti; il diritto al voto, però, era attribuito a coloro che si trovavano in particolari condizioni economiche e culturali. Potevano cioè votare limitate categorie di cittadini maschi, che possedevano un certo grado di istruzione e un certo patrimonio (censo), per cui pagavano allo stato un determinato tributo diretto.
Ecco perché le liste elettorali, manipolate per di più dalla Giunta Comunale, contenevano solo alcune centinaia di nomi, ma il numero degli eleggibili alle cariche pubbliche municipali era di gran lunga inferiore, ristretto a poche decine di uomini, selezionati attraverso le occulte manovre operate dai capi a favore di coloro che erano più accreditati per il legame clientelare cui sottostavano ed erano, per questo, considerati capaci di farsi portatori e garanti degli interessi delle famiglie dominanti.
Una conferma dell'assunto si ha raffrontando i nomi dei consiglieri e assessori comunali del ventennio 1893-1913 e l'elenco dei venti maggiori contribuenti del paese, compilato dal commissario regio (verbale n.18 del 24 marzo 1914) ai fini della nomina della commissione amministrativa del Monte Frumentario "F.M. Castellano".
L'elenco dei maggiori contribuenti, in relazione al patrimonio e alle rendite immobiliari possedute, era formato dai seguenti nomi: Battiato Pier Francesco, Boscarini Mariano, Consolo Sebastiano, Costanzo Antonino, Di Gregorio Gaetano, La Delfa Filippo, La Delfa Francesco Paolo, Lanza Giuseppe, Lombardo Gaetano, Oliveri Pietro, Piazza Mariano, Prato Carlo, Prato Francesco Paolo, Prato Giuseppe, Prato Boscarini Giuseppe, Prato Luigi, Serra Raffaele, Scarlata Antonino, Scoto Antonio, Spina Filippo; come si può ben notare, i nomi erano quelli delle persone che amministravano il Comune o di loro stretti congiunti.
La legge elettorale prevedeva all'epoca la decadenza - trascorsi due dei quattro anni di durata in carica - di un terzo dei componenti il Consiglio Comunale, che dovevano essere surrogati mediante elezioni parziali; i nomi dei consiglieri da sostituire venivano sorteggiati.
Poteva, quindi, succedere (e in più occasioni si verificò) che decadesse persino il consigliere che esercitava le funzioni di sindaco, salvo a venire immediatamente dopo rieletto consigliere comunale per essere chiamato, ancora e subito, a rivestire il massimo ufficio municipale.
L'insieme dei fattori normativi e politici specificati spiega in parte perché la ammissione al Consiglio Comunale, organo elettivo nel cui seno venivano nominati il sindaco e gli assessori municipali, fosse riservata a una cinquantina di persone, ferma restando la ragione principale costituita dalla posizione di prepotere di alcuni gruppi del paese, in grado di influenzare un elettorato così elitario.
Le masse non soltanto restavano escluse dall'elettorato passivo e dall'amministrazione civica, ma non potevano nemmeno eleggere i consiglieri comunali.
Le ricche famiglie - proprietarie di vaste estensioni di terra e di cospicui greggi e armenti - e i pochi soggetti che esercitavano le professioni liberali, anche se non sorretti da buoni orientamenti e programmi politici, imponevano ai ceti sociali inferiori, con l'autorità che derivava loro dalla forza economica, i candidati da eleggere consiglieri comunali.
«L'alleanza tra aristocrazia ex-feudale e borghesia terriera e capitalista veniva ad annullare l'evoluzione politica e liberale del nuovo stato italiano e restava ancorata alla roccaforte del Comune».[i]
La emancipazione del proletariato era ancora di là da venire.
Tutto questo, se può ascriversi a demerito del ceto dirigente conservatore dell'epoca che pure, per il servizio reso alla municipalità, qualche merito poteva vantarlo, piuttosto mette in evidenza l'aspetto etico-politico di una concezione dello Stato e della pubblica amministrazione, che anteponeva all'interesse generale della collettività quello particolare del singolo notabile o del gruppo che a lui faceva capo.
Veniva così praticato un principio fondamentale del liberalismo che affermava i limiti del potere pubblico e il primato della coscienza morale dell'individuo sul bene comune e sugli scopi sociali.
II.2 I provvedimenti amministrativi del periodo di storia sin qui trattato furono in massima parte insignificanti.
L'azione amministrativa praticata dai Cavalieri, che formavano gli organi comunali, aveva l'effetto di determinare la persistenza della condizione di emarginazione e di sofferenza delle classi più deboli, alle quali tanti sacrifici venivano imposti nel superiore interesse del pareggio del bilancio dell'Ente, che aveva scarse risorse patrimoniali e finanziarie.
Sintomatico è, al riguardo, il ripristino disposto dal Consiglio Comunale l'8 novembre 1894 (delibera n.8) dell'imposta di consumo - il dazio - su alcuni generi di prima necessità consumati comunemente dal popolo minuto: farina, crusca, carbone, patate, uova, olive, fichi secchi e castagne.
L'imposizione fiscale su questi come su altri generi di largo e generale consumo assicurava al Comune il gettito più cospicuo del proprio bilancio, più di quanto non gliene derivasse globalmente da tutti gli altri tributi (imposte e sovrimposte, tasse e diritti vari) pagati dai cittadini.
Nel 1894, senza farsene alcuno scrupolo, il Consiglio Comunale sopprimeva due classi delle scuole elementari, in quanto il Comune non poteva sostenere l'onere per il compenso da corrispondere ai maestri. Era la politica della lesina applicata con il massimo rigore, senza alcuna considerazione per gli scopi sociali della spesa pubblica.
Non mancarono, però, alcuni efficaci interventi di utilità pubblica, indicativi della volontà e dell'impegno della classe dirigente di affrontare qualche annoso problema, per sollevare il paese dalla condizione di arretratezza civile in cui si trovava.
Il 27 novembre 1894 il Consiglio Comunale stabiliva (delibera n.35) di costruire il nuovo mattatoio, che avrebbe cominciato a funzionare nella primavera del 1896, nella stessa sede ove attualmente si trova, senza che funzioni da anni.
Il 18 agosto 1897 (delibera n.80) veniva approvato il progetto di un'importante opera igienica, la costruzione del nuovo cimitero su un'area di 35.000 metri quadrati ritenuta sufficiente per una popolazione che aveva superato i 14.000 abitanti.
Il 17 settembre 1897 il sindaco, avv. Gaetano Prato, riferiva al Consiglio Comunale che l'intero paese attingeva l'acqua potabile soltanto dalle piccole fontanelle o canali, collocati fuori dall'abitato - nello spiazzo denominato appunto 'u canali - che venivano alimentati dalla sorgente Val di Noce.
Aggiungeva, il Sindaco, che lo scarso afflusso di acqua era motivo di disperazione per la gente che doveva attendere delle ore per riempire una brocca di acqua; una situazione grave, che era «causa di ripetuti disordini, liti, risse che talvolta si concludono con dei ferimenti».
Si rendeva, pertanto, necessario un sacrificio finanziario del Comune per il trasporto a Valguarnera dell'acqua di una sorgente rinvenuta in una zona distante alcuni chilometri dal paese, per soddisfare le improcrastinabili esigenze alimentari e igieniche della popolazione che superava 14.000 abitanti.
Il Consiglio Comunale, accogliendo la proposta del Sindaco, stabiliva di realizzare l'acquedotto esterno per la derivazione dell'acqua della sorgente esistente nella Valle della Pergola, in contrada Cafeci, approvando allo scopo una perizia di massima; una scelta molto criticata e contestata dagli oppositori della famiglia del Sindaco, alla quale apparteneva la sorgente.
Significative sono, al riguardo, le varie lettere aperte di protesta[ii] indirizzate agli organi e uffici municipali da due uomini del partito di opposizione, Lorenzo Mineo e Cosimo Prominenza (gli stessi menzionati nel rapporto di polizia in occasione del moto di piazza del marzo 1901); una protesta che si rivelò efficace in quanto indusse le autorità governative ad intervenire presso l’Amministrazione Comunale, che fu costretta ad abbandonare il progetto di Valle della Pergola e ad indirizzarsi alla captazione della sorgente della Valle dell’Inferno, anch’essa situata in contrada Cafeci.
Sicché Mineo e Prominenza, il 17 settembre 1901, poterono annunciare alla popolazione con la loro quarta lettera aperta:
«Il progetto di derivazione dell’acqua dalla Valle della Pergola, nato mancante di uno dei due requisiti indispensabili ad un buon progetto di conduttura, l’altitudine, venuto su senza lo studio d’un ingegnere specializzato, infirmato da una lite sorta su questione di prezzo per la compra, pregiudicato da una aggiudicazione d’appalto ad offerta privata, abbandonato dall’appaltatore proprio nel momento in cui doveva metterlo in opera, è stato colpito a morte da una grave e pubblica accusa…cantiamo perciò il de profundis al progetto medesimo e diciamo «mancu mali ca foru ficu» cioè, per fortuna si è fatto in tempo a captare l’acqua della sorgente della Valle dell’Inferno che ha una portata superiore ed è collocata a maggior altitudine tale da assicurare per caduta l’approvvigionamento idrico all’intero paese.
I lavori di costruzione dell’acquedotto esterno sarebbero stati completati nel 1903, mentre la rete idrica interna sarebbe stata costruita nel 1906. La sorgente della Valle dell’Inferno viene tuttora utilizzata dal Comune di Valguarnera.
Per distribuire l'acqua alla popolazione, nelle more della realizzazione del civico acquedotto, fu costruito nella piazza Carcere un grande bevaio con 14 getti.
Il prelievo dell'acqua veniva calcolato per ogni famiglia a scannagghi, presuntivamente, in base al numero dei componenti, con pagamento anticipato del prezzo.
Il Comune provvedeva anche alla distribuzione dell'acqua trasportandola nelle case della gente a mezzo di botti collocate su carretti.
L'11 aprile 1897 veniva approvato il progetto per la sistemazione del piano della Chiesa Madre, i cui lavori sarebbero stati eseguiti tre anni dopo.
L'1 marzo 1898 (verbale n.8) il Consiglio Comunale deliberava di collocare nella sala consiliare del palazzo comunale il busto di Domenico Minolfi Scovazzo, già deputato nazionale e Presidente del Consiglio Provinciale di Caltanissetta, morto qualche mese prima, che era stato uno dei capi più autorevoli della Destra reazionaria siciliana; quel busto doveva onorarne la memoria, in riconoscimento dei meriti - non precisati - acquisiti da Minolfi Scovazzo nei confronti del Comune di Valguarnera.
A memoria d'uomo, il busto non fu mai collocato, forse perché le massime autorità municipali riconobbero, a posteriori, la validità del rilievo del cav. Eugenio Arena e di altri consiglieri liberali con tendenze di sinistra, i quali si erano opposti alla decisione consiliare, osservando che in onore del sindaco filantropo Sebastiano Arena, morto da 8 anni, non era stata collocata all'interno del palazzo municipale nemmeno una targa o una qualsiasi iscrizione, che ne ricordasse i meriti di grande benefattore del popolo.
Nel corso dell'anno 1898 si provvedeva a finanziare:
- la costruzione del prolungamento verso la via Palermo del largo marciapiede sottostante il palazzo comunale (delibera n.23 dell'1 marzo);
- la costruzione di un grande lavatoio pubblico in contrada Buglio, nei pressi della sorgente d'acqua ivi esistente (delibera n.58 del 28 dicembre); l'acqua di questa sorgente sarebbe stata incanalata nel serbatoio idrico comunale 73 anni dopo, sotto l'Amministrazione comunale presieduta dal sindaco Giuseppe Giarrizzo. Nella zona non c'è oggi alcuna traccia del caratteristico lavatoio che per tanti decenni fu utilizzato dalle lavandaie che stavano al servizio delle famiglie abbienti, nonché dalle donne delle famiglie più povere di Valguarnera.
Il 16 ottobre 1898, il Comune aderiva (delibera consiliare n.51) al consorzio tra la Provincia di Caltanissetta, i comuni di Aidone, Piazza Armerina e Valguarnera e le amministrazioni delle miniere Gallizzi, Grottacalda e Floristella, per la costruzione e l'esercizio della linea ferrata Assoro-Valguarnera-Piazza Armerina; il primo treno sarebbe arrivato a Valguarnera il 25 aprile 1912.
Il 22 aprile 1899 veniva stabilito (delibera n.67) di sistemare la via Garibaldi, divenuta ormai la strada principale del paese, la quale sarebbe stata ottimamente pavimentata con basole di pietra lavica (con una spesa di lire ventimila).
Il provvedimento del Consiglio Comunale, che pure rivestiva un prevalente interesse pubblico, offrì il destro all'opposizione per imbastire una speculazione politica, con il pretesto che sulla strada da costruire sorgeva la dimora del sindaco Filippo Prato.
Una quisquilia politica che, tuttavia, aggiunta ad altri fatti amministrativi più gravi, provocherà un'inchiesta sul Comune disposta nel 1901 da Giolitti, ministro dell'interno nel governo Zanardelli, per formare poi oggetto di valutazione negativa nella relazione con la quale lo stesso Ministro proporrà al Re lo scioglimento del Consiglio Comunale di Valguarnera Caropepe.
Giovanni Giolitti, passato alla storia come il maggior statista italiano dopo Cavour per la sua politica liberale e riformista sul piano economico e sociale, non disdegnò di praticare un'azione di governo clientelare per rafforzare il suo potere.
E attuando anche una politica di intrighi e maneggi (Gaetano Salvemini lo chiamò per questo "il ministro della malavita"), non si lasciò sfuggire occasione per indebolire gli avversari. Tra questi si trovavano, nel 1901, i "padroni" del municipio di Valguarnera, da sempre schierati con la Destra conservatrice, capeggiata in provincia di Caltanissetta dal deputato Domenico Minolfi Scovazzo di Aidone, che «coagulava gli interessi della grossa borghesia terriera».
La corrente politica di Minolfi Scovazzo era osteggiata dalla Sinistra, formata principalmente dal ceto emergente della nuova borghesia, «rappresentata dal senatore aidonese Vincenzo Cordova Savini e dal deputato La Vaccara Giusti di Piazza Armerina».[iii]
L'occasione per infliggere un duro colpo alla fazione avversaria del Minolfi Scovazzo si offrì al ministro Giolitti con l'esito della ispezione fatta eseguire sul Comune di Valguarnera in seguito alla segnalazione di irregolarità varie attribuite dall'opposizione agli amministratori dell'Ente. E il colpo fu inferto con lo scioglimento del Consiglio.
La relazione del ministro al Re Vittorio Emanuele III, a corredo della proposta di scioglimento del Consiglio Comunale, offriva un quadro molto significativo della situazione amministrativa (delineata nelle pagine precedenti) di Valguarnera Caropepe all'inizio del XX secolo.
Si legge nella relazione ministeriale:[iv]
«Sull'andamento del Municipio di Valguarnera Caropepe fu nel maggio 1901 eseguita un'inchiesta, la quale diede risultati gravi. Dal 1891 le stesse persone imparentate fra loro, avevano avuto il Governo del Comune ed erano più o meno interessate nei pubblici servizi».
Dopo aver ricordato il disordine contabile-finanziario e il sistema clientelare della spesa pubblica, praticato per favorire aderenti e amici, la relazione prosegue:
«Il dazio, nella percezione del quale - data in appalto - risultarono cointeressati due consiglieri, gravava soverchiamente sui contribuenti essendo praticato per tutte le voci, non esclusi i generi di maggiore consumo per le classi povere. La manutenzione delle strade, l'igiene e la nettezza dell'abitato erano trascurate, i lavori pubblici non determinati da criteri di generale utilità venivano eseguiti senza l'osservanza della legge e gravi abusi si tolleravano nel mantenimento degli esposti.
Dopo l'inchiesta le cose non sono mutate; l'Amministrazione Comunale non ha cessato di commettere irregolarità e atti di favoritismo.
Mentre le strade abitate da contadini e minatori sono in uno stato deplorevole, si sono spese lire ventimila per lastricare la via ove il Sindaco dimora ed è stata deliberata la pavimentazione di una piazza avanti alla casa di un consigliere ......
L'Amministrazione non si dà alcun pensiero dei veri bisogni del paese, che scarseggia di acqua potabile e manca di fognatura.
E' grande il malcontento che potrebbe, come altre volte, degenerare in disordini, essendo la popolazione eccitata anche dal fatto che il ruolo della tassa sul valore locativo, istituita per far fronte ai primi lavori di conduttura dell'acqua potabile, è stato messo in riscossione senza che le opere siano vicine al loro incominciamento».
Queste e altre ragioni inducevano il Ministro dell'interno a porre fine ad uno stato di cose «divenuto intollerabile» e a proporre "all'Augusta firma di Vostra Maestà" il provvedimento di scioglimento del Consiglio Comunale di Valguarnera Caropepe; il decreto reale che disponeva in tal senso fu emanato il 6 febbraio 1902.
Purtroppo, il grave stato di cose denunciato dal Ministro Giolitti, che indusse Vittorio Emanuele III allo scioglimento del Consiglio Comunale, non sarebbe cambiato con le successive amministrazioni comunali.
Dopo alcuni mesi di amministrazione straordinaria del Comune affidata al commissario regio, avv. Isidoro Bencivenga, furono indette le elezioni amministrative per la ricostituzione del Consiglio Comunale.
La campagna elettorale ingaggiata dall’opposizione «democratica» fu asprissima, senza esclusione di colpi.
«I fautori della disciolta amministrazione caduta sotto il peso delle gravi risultanze di una inchiesta e di responsabilità rilevanti e dichiarate… si aiutano con ogni mezzo per riafferrare il potere di cui si resero indegni.
La più sfacciata corruzione dilaga nauseante, inquinando il corpo elettorale: squadre di galoppini, reclutati tra i peggiori elementi del paese, danno la caccia all’elettore e con raggiri, promesse e intimidazioni lo conducono dove, pagato, consente innominabile contratto. Si sussurrano le cifre, si parla di cambiali, apertamente come in un turpe mercato.
Ma, fenomeno più grave si è una specie di sollevamento del sottosuolo sociale, con eruzione di esseri fangosi,…
I peggiori mafiosi, abigeatari di professione, rapinatori in licenza, sorvegliati speciali e simili soggetti, che in barba alla legge, spesso impotente a colpirli, vivono la vita dei vermi, hanno spiegato parte intervenendo con le loro armi terribili e temibili, all’ombra di chi non sente il disgusto di avvalersene».
Così descriveva il clima elettorale l’8 agosto 1902, a una settimana dal voto, una corrispondenza da Valguarnera pubblicata su «Il Rinnovamento», organo dell’Associazione Democratica Nissena.
Le elezioni del 15 agosto 1902 permisero ai soliti "cavalieri" designati e sostenuti dai soliti notabili del paese, di tornare a occupare le istituzioni municipali per dare corso ad un altro periodo, lunghissimo, di gestione del Comune privatistica e clientelare.
Ed essendo il governo del municipio caratterizzato dai continui maneggi di una cricca di potere, assai scarsi saranno nel periodo dal 1902 al 1922 (anno dell'avvento del fascismo) i provvedimenti di interesse generale, migliorativi dei pubblici servizi.
Il 17 novembre 1906, il Consiglio Comunale commemorava Sebastiano Arena scomparso 17 anni prima, il 10 marzo 1889, e stabiliva di onorare la memoria del grande benefattore del popolo intitolandogli la Infermeria Civica da lui fondata e la via S. Antonino che porta da allora il nome dell'illustre Sindaco; inoltre, veniva collocato un ritratto del Nostro nella sala consiliare del palazzo comunale, ove tuttora è possibile mirarlo.
Sebastiano Arena aveva fondato nel 1882 l'Ospedale Civico, da lui poi nominato erede universale di un cospicuo patrimonio, e aveva permesso al beato Giacomo Cusmano di aprire a Valguarnera, nel 1883, la Casa del Boccone del Povero con l'Ospizio di mendicità e l'Orfanotrofio, alla quale Casa il Comune aveva concesso parte dei locali dell'ex romitorio dei padri filippini, ove la importante istituzione da 120 anni mantiene la sua degna e accogliente sede.
Altre opere importanti realizzate dal sindaco Sebastiano Arena furono:
- gli artistici lampioni collocati nel 1869 sulla panchina antistante il palazzo municipale per illuminare la sottostante piazza;
- l'imponente edificio scolastico sorto nel 1888 sulla via Archimede, la cui facciata in stile neoclassico costituisce uno dei pochi beni culturali di pregio che si possono ammirare nel paese;
- la costruzione nel 1874 del cimitero comunale e nel 1881 del carcere mandamentale sorto in piazza Castello.
Il 7 maggio 1911 (delibera n.19) fu stabilito di pavimentare la piazza Umberto I (ora Piazza della Repubblica), che veniva chiamata dal popolo ‘u chiani di l'urmi per la presenza ai lati della stessa di numerosi alberi di olmo. Dieci anni dopo sarebbe stata sistemata la via omonima, già via Palermo.
Negli anni 1911-13 fu realizzato il tronco ferroviario Valguarnera-Grottacalda, che avrebbe agevolato il raggiungimento del posto di lavoro agli impiegati e agli minatori delle miniere Floristella e Grottacalda; ma, a potersi permettere il prezzo del biglietto ferroviario non erano molti allora.
Il 6 gennaio 1912 il Consiglio Comunale, comprendendo che il nuovo edificio scolastico funzionante dal 1889, voluto da Sebastiano Arena e sorto nella Via Archimede, non era più sufficiente per ospitarvi gli alunni delle scuole elementari demandava (delibera n.12) alla Giunta Municipale di far redigere il progetto di un nuovo edificio "d'arte", sino alla concorrenza della spesa di lire cinquantamila, per finanziare la quale occorreva contrarre un mutuo. La pratica così avviata avrebbe avuto un iter ultraventennale.
Sempre il 6 gennaio 1912, veniva stabilito:
- di provvedere al risanamento igienico dell'abitato, con la costruzione della fognatura e di alcuni lavatoi e orinatoi pubblici; il risanamento si sarebbe parzialmente attuato nel 1914 e poi nel 1922, con l'impianto della rete fognante nelle vie principali del paese;
- di inoltrare alla Direzione generale dei telefoni di Roma una richiesta di istituzione dell'ufficio telefonico; il relativo impianto sarebbe stato installato, qualche anno dopo, presso l'Ufficio Postale, anche al servizio del pubblico, mentre il servizio telefonico per i privati sarebbe stato istituito dopo diversi decenni, nel 1955.
Il 25 aprile 1912 arrivò a Valguarnera il primo treno ferroviario. Sino ad allora il collegamento del paese con le città di Enna e di Caltanissetta e con i maggiori centri dell'isola era stato affidato alla diligenza, che percorreva le regie trazzere e la rotabile Catania-Palermo, alla quale si innestava una stradella che si partiva dalla Porta Palermo.
Al mantenimento della diligenza il Comune concorreva con l'erogazione di un contributo al gestore del servizio.
Molti, prima che fosse inaugurata le ferrovia, si muovevano a cavallo e anche a piedi, mentre i benestanti possedevano le lettighe portate a dorso di muli e poi i carrozzini trainati dai cavalli.
Si comprende, quindi, l'importanza della ferrovia che pose il paese in una condizione ottimale per il raggiungimento delle metropoli siciliane, facendone un crocevia verso alcuni importanti centri dell'interno e della costa mediterranea.
L'economia ne ricevette un forte impulso per l'insediamento di alcune fabbriche che offrirono lavoro a tanti operai.
Il 12 ottobre 1913 si registrava un episodio significativo, che può essere interpretato come l'inizio del cambiamento della vita politica con la formazione dei partiti di massa.
La Giunta Municipale, presieduta dal sindaco Carmelo Costanzo, e 19 consiglieri comunali rassegnavano le dimissioni dalle cariche amministrative in ossequio alla volontà degli elettori, in quanto i risultati delle elezioni politiche del 18 settembre 1913 erano stati sfavorevoli al loro partito. Il Consiglio Comunale veniva, quindi, sciolto e la gestione del Comune era affidata per alcuni mesi, sino alle elezioni amministrative dell'11 luglio 1914, al Commissario regio rag. Mario Alonzo.
Il Commissario governativo, con delibera n.25 del 24 marzo 1914, dato atto che «il paese reclama la sistemazione di tutti i pubblici servizi, che sono stati molto trascurati dalla passata amministrazione, reputa conveniente delegare a persone cospicue, che riscuotono la generale simpatia e stima, alcune delle sue attribuzioni». Ma, paradossalmente, la delega veniva fatta a due autorevoli esponenti della fazione politica alla quale, appunto, il popolo attribuiva la responsabilità della carenza dei servizi pubblici, e precisamente ad Alfonso Prato e a Filippo La Delfa, ai quali fu affidata la cura di alcuni importanti settori: lavori pubblici, annona, igiene, nettezza urbana, acque, illuminazione, come dire la reggenza dell'intera amministrazione del Comune.
Una determinazione, quella del Commissario Alonzo, alquanto strana, che però non desta meraviglia poiché la commistione tra burocrazia e politica ha permesso in ogni epoca che si manifestassero nella pubblica amministrazione paradossi ancora più eclatanti.
II.3 Nella seconda metà del 1914 spaventose bufere solcavano i cieli europei.
Il 23 luglio 1914, dopo circa un mese dall'attentato di Sarajevo del 28 giugno, l'Austria consegnava alla Serbia un ultimatum, che ne esigeva la resa a discrezione e rendeva inevitabile la guerra; appena dieci giorni dopo l'Europa tutta era investita dal grande uragano.
La notizia delle guerra folgorò l'Italia.
Mentre la Nazione si divideva tra interventisti e neutralisti, a Valguarnera cessavano le lotte tra le opposte fazioni politiche e la vita amministrativa, che era stata movimentata dalla presenza nel Consiglio Comunale di nuovi gruppi provenienti dalla media borghesia emergente, declinava verso il più assoluto immobilismo.
La popolazione dimenticava gli antichi problemi e gli assilli di ogni giorno e veniva presa dall'angoscia della terribile afflizione che l'avrebbe colpita se l'Italia fosse entrata in guerra.
Il movimento interventista, sviluppatosi tra il 1914-15, che raccolse in Italia elementi di provenienza assai diversa (nazionalisti, futuristi, letterati, democratici, liberali irredentisti e socialisti influenzati dalle dottrine di Sorel), trovò pochi sostenitori tra i pacifici cittadini di Valguarnera.
Si pensava, certo, anche in quel centro situato nell'umbilicum Siciliae, alla liberazione di Trento e Trieste, che avrebbe realizzato la piena indipendenza e unità dell'Italia, ma solo qualche giovane voleva la guerra, ritenendo che da essa sarebbe venuto, con la redenzione dei popoli oppressi, un ordine nuovo.
Ideali bellissimi, ma utopici!
La quasi totalità dei giovani temevano di dover partire per andare ad affrontare le tristezze e i pericoli dei campi di battaglia.
E, sciaguratamente, non poterono evitarlo poiché l'Italia, il 24 maggio 1915, notificò la dichiarazione di guerra all'Austria, una guerra protrattasi per 41 lunghi mesi e per la quale il Paese fu sottoposto ai molteplici lutti, pene, rinunce, disagi di cui ogni guerra è portatrice.
Il continuo rincaro dei generi alimentari e di vestiario e la carenza di petrolio misero a dura prova la popolazione di Valguarnera, mentre la mancanza di manodopera (contadini, braccianti e mietitori) fu maltollerata dalle categorie agricole; di essa si fece portavoce il Consiglio Comunale che durante la guerra tenne sporadiche adunanze, una delle quali si svolse il 22 aprile 1917 per invocare che il Ministro dell'agricoltura concedesse una licenza - dall'1 giugno al 10 luglio - ai numerosi soldati valguarneresi mobilitati al fronte, per scongiurare la perdita del raccolto, in quanto la mietitura non sarebbe stata possibile per mancanza di braccia umane, non praticandosi ancora quella meccanizzata (verbale n.94).
Il problema non poté risolversi nel modo sperato dal Consiglio Comunale e la Giunta Municipale, per sfamare la parte di popolazione più povera, si avvalse di tutti i suoi tentacoli politici, ottenendo dal Consorzio Agrario provinciale la concessione di 200 quintali di grano al mese, che fu distribuito alle famiglie prive di risorse sino alla normalizzazione della situazione dopo la fine della guerra, con il raccolto di grano dell'estate 1919.
Ma ogni disagio o malessere causato da quella guerra si rivela poca cosa se raffrontato al grande tributo di sangue che Valguarnera rese alla patria.
Numerosi soldati riportarono ferite gravi e tornarono dalla trincea mutilati o invalidi, 36 vennero dichiarati dispersi e 142 morirono più o meno eroicamente, compresi nel numero tre soldati dell'esercito americano, valguarneresi che erano emigrati negli Stati Uniti d'America alcuni anni prima.
Dopo anni di paura e di pianto per l'intero paese, «quando, il 4 novembre 1918, si seppe la notizia dell'armistizio con l'Austria, le campane delle chiese suonarono a festa per un'ora e il popolo si abbandonò a segni di viva gioia. Il 17 novembre volle mostrarsi la gratitudine della nostra cittadina alla Madonna della Pace, che, ornata di oro e di fiori, venne portata a spalla trionfalmente per il paese dai valorosi mutilati di guerra, seguita da tutto il popolo. Era l'alba serena dopo una lunga notte tempestosa».[v]
Cessata la guerra, si ebbe un risveglio della vita sociale e amministrativa, che per oltre tre anni era stata contrassegnata da una completa paralisi, ma non si registrarono fatti socialmente o politicamente clamorosi, né l'Amministrazione Comunale emanò provvedimenti degni di notazione.
Il 28 giugno 1919 fu stabilito (delibera del Consiglio Comunale n.156) di costruire un «lavatoio pubblico a 24 scompartimenti per evitare lo smaltimento nelle pubbliche vie delle acque sporche per la lavatura della biancheria di casa, mancando in molte strade la rete fognante».
Tra il 1920 e il 1921 fu costruita e pavimentata la via Umberto I, che si trovava a fondo naturale con appena uno strato di ghiaia compressa, per i quali lavori fu abbassato il livello stradale, com’è traccia in alcuni edifici che sorgono sulla stessa via intitolata oggi a Giacomo Matteotti. La Chiesa Madre fu per questo risarcita dal Comune delle spese sostenute per ricostruire la gradinata a levante di accesso al tempio - la grande - divenuta impraticabile (delibera n. 84 del 2 aprile 1922); la piccola fu costruita dal Municipio.
Cinque anni prima, nella stessa via Umberto I° e nella piazza omonima era stata costruita la fognatura.
Il 7 gennaio 1923, il Consiglio Comunale disponeva che nelle scuole elementari venisse impartito l'insegnamento del catechismo (delibera n.139), che il parroco Giacomo Magno e i suoi coadiutori si erano offerti di effettuare senza alcun compenso.
Erano i primi effetti della politica del Duce di avvicinamento alla Chiesa Cattolica, che avrebbe portato alla stipula dei Patti Lateranensi?
Nel verbale di seduta consiliare, è dato leggere la seguente motivazione: «Uno dei capisaldi del programma dell'attuale governo presieduto da S.E. Benito Mussolini è quello dell'insegnamento religioso nelle scuole. Ed è doveroso educare i cuori dei teneri alunni al culto della religione cattolica e a sentimenti veramente cristiani».
Invero, a quel tempo Mussolini - da poco arrivato al potere - mirava ad accelerare il processo di dissoluzione del Partito Popolare Italiano, allo scopo di attrarre verso il fascismo le masse cattoliche per rafforzare e capillarizzare il partito fascista nel tessuto sociale della Nazione.
Se erano state dimenticate le declamazioni atee del Mussolini pre-fascista, non era stato però ancora abbandonato l'anticlericalismo del fascismo della prima ora. La retorica spiritualista, per la captatio benevolentiae della Chiesa Cattolica, non era stata ancora messa in atto.
E’, quindi, verosimile che, essendo retto in quel momento il Municipio da una Giunta demo-popolare, della quale facevano parte vari esponenti del mondo cattolico eletti nella lista del Partito Popolare Italiano, il parroco della Chiesa Madre, Giacomo Magno, che era anche vicario foraneo del vescovo della diocesi di Piazza Armerina, abbia patrocinato la causa della sua Chiesa e, interponendo i suoi buoni uffici, sia riuscito ad ottenere l'adozione di quel provvedimento consiliare che disponeva l'insegnamento del catechismo nelle scuole.
Il 26 febbraio 1923, veniva istituito l'ambulatorio antitracomatoso allo scopo di debellare la pericolosa infezione del tracoma che era diffuso in ogni strato della popolazione (delibera n.146). Nello stesso periodo il Comune aderiva al Consorzio Provinciale Antitubercolare.
Con questi provvedimenti, la politica sanitaria dell'Amministrazione demo-popolare faceva un salto di qualità e i risultati positivi si sarebbero colti di lì a pochi anni con la graduale riduzione delle due gravi malattie contagiose.
Francesco e Silvia Giarrizzo, Valguarnera Caropepe all’epoca dei cavalieri e dei podestà (cap.II), Assoro, 2001
1 Francesco Longo, Cronaca della Città di Enna dal 1861 al 1981, Appendice alla Storia di Enna di Paolo Vetri, Editrice Palma, Palermo, 1981, p.12
2 Le lettere aperte venivano diffuse attraverso volantini stampati in tipografia o mediante la pubblicazione su «il Rinnovamento», Organo dell’Associazione Democratica Nissena, del quale era corrispondente da Valguarnera Cosimo Prominenza, uno degli autori delle lettere