LA CONQUISTA DELLA PAROLA

A Valguarnera il primo atto di ribellione delle classi subalterne fu il parlare ad una folla.

 

A poco più di cent’anni dagli eventi, e a diciassette anni dalla prime edizione in volume, il prof. Enzo Barnabà torna a occuparsi di una vicenda che gli è particolarmente cara e che percorre con pazienza e passione, certo che possa parlare agli uomini della fine del secolo XX, magari anche stanandoli dal loro (dal nostro) disincanto.

 

Gli avvenimenti dei Fasci siciliani 1893-94 vengono dapprima inquadrati all’interno della “recessione economica abbattutasi sull’Europa a partire dagli anni Settanta, che attorno al 1892 raggiungeva in Sicilia le punte più acute e sconvolgeva ogni attività produttiva” e poi narrati e letti alla luce di un pensiero critico che si muove dalle ipotesi interpretative di Emmanuel Le Roy Ladurie, fecondata dall’indubbia partecipazione emotiva del nostro autore, alla materia trattata. Ne consegue uno stile pacato e rigoroso da un lato e coinvolgente dall’altro.

 

Servendosi di un’ampia bibliografia di materiali d’archivio e di fotografie capaci di riassumere il senso della storia in una sola immagine (straordinaria quella di pag. 115 e splendida la didascalia : Valguarnera, 20 febbraio 1894. E’ tornato l’ordine: autorità  civili e militari in posa) ma non disdegnando fonti quali proverbi, canzoni popolari, e opere letteraria, Barnabà tenta di individuare i molteplici aspetti di una vicenda complessa e ricca, guidandoci lentamente attraverso i primi cinque capitoli, ai momenti di massima tensione (spannung) dei capitoli VI e VII, rispettivamente “La rivolta di Valguarnera” e “ Il Capodanno di sangue di Pietraperzia”.

 

Il quadro politico nazionale, dal quale non possono sfuggire analogie con l’oggi (a chi somiglia quell’oratore che invita “alla fusione dei partiti” e anzi rifacendosi al recente discorso con cui Crispi aveva presentato il nuovo governo alla Camera, sostiene di “essere giunta l’ora di farla finita coi partiti”?) e anche internazionale, viene correttamente legato alla situazione locale in modo tale che, pur se il saggio si limita a trattare della Sicilia interna, esso ci parla del conflitto di classe che segnava la fine del XIX secolo in tutta Europa, qui la differenza di quanto accade oggi.

 

Il socialismo, venato di ansie messianiche e attraversato da sentimenti religiosi, (su questo aspetto E.J. Hobsbawn ha scritto pagine insuperate) forniva mediante i suoi “maledetti” apostoli, le parole e l’organizzazione per dire e praticare la rivolta, e per farla uscire dal ribellismo di secoli dotandola di strumenti capaci  di dare sbocchi a situazioni che sembravano mute e immutabili. Ma grosse nubi solcavano i cieli di quegli anni: nella fase precedente quello che Tronti ha chiamato “il grande novecento” distinguendolo dal “piccolo” secolo dei nostri ultimi cinquant’anni, uomini e classi oscillavano tra grandi avvenimenti del pensiero e tentativi di attuazione, e la pochezza spesso criminale del ceto politico, incapace di proposte come di risposte adeguate.

 

Le classi subalterne tentano, letteralmente, di prendere la parola: emblematico è quanto accade a Valguarnera e che da Barnaba’ è compiutamente raccontato nel capitolo VI. Un falso frate arriva, il 25 dicembre del ’93, e diffonde materiale sovversivo che servirà all’“anarchico” Michelangelo Di Dio per arringare i suoi paesani: questi comincia a parlare a una folla che va aumentando fino a raggiungere le mille persone, compiendo un atto simbolico molto forte ovvero forzando quelli che erano i limiti imposti agli “inferiori”. E questo prendere la parola è atto supremo di insubordinazione tanto che, “ dopo un attimo di sorpresa per quell’insolenza, la sfida popolare viene accolta: due delle personalità più in vista del gruppo al potere, don Filippo Prato e il maestro Lanza, che assistevano alla scena da un angolo della piazza, invitano con un gesto il delegato a far smettere l’improvvisato oratore”. L’“energico e fidato” funzionario di polizia esegue immediatamente gli ordini. Così tutto è pronto per lo scatenarsi degli eventi: incarcerazione del capopopolo, poi liberato dalla folla, assalto alla caserma, devastazioni, saccheggi, intervento dell’esercito, arresti, perquisizioni, delegazioni e ristabilimento dell’ordine, di quell’ordine malato che aveva generato la presa della parola.

 

Una sconfitta, quella dei Fasci, a Valguarnera come altrove, una delle tante sconfitte dei movimenti sociali della classi subalterne dall’Ottocento a oggi. Così conclude questo capitolo VI, Barnabà: “…l’egemonia – borghese del paese – fu consolidata da quegli avvenimenti, mentre contadini e minatori cominceranno a riaversi dalla sconfitta solo parecchi anni più tardi. Sotto l’incalzare della crisi, assieme ai fasci era stata sognata una società nuova. Con la svolta autoritaria operata dal Crispi venivano ripristinati i vecchi meccanismi. Per le classi subalterne siciliane si apriva una pagina nuova, quella dell’emigrazione”. Amara conclusione, eppure fornita al lettore esemplarmente sobrio, anche se sotto mi sembra di sentire la lava dell’indignazione contro le ingiustizie, che ancora scorre nelle vene del nostro bravo storico e carissimo amico.

 

Un volume da leggere e da meditare, questo sui fasci, chiuso da un’efficace cronologia e da uno scritto di Francesco Renda, già prefazione alla prima edizione: un volume di storia locale ma capace di farne intendere le interazioni con quella globale, spezzando le angustie del provincialismo che spesso opprimono questo genere di scritti. Ma per praticare il villaggio e il pianeta, ovvero per essere sicilianissimi e contemporaneamente cittadini del mondo, occorre andar via dai luoghi che ci hanno visto nascere e crescere come ha fatto il peregrinante Barnabà dalla natia Valguarnera/Caropepe al Veneto, alla Liguria, all’amata Francia, all’ Africa fino al dolorante Montenegro; provvisorio luogo della sua vicina lontananza da tutti noi.

                                                       Gianluca Paciucci, “La Sicilia”, 15 gennaio 1999      

   

 

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