Non c’era niente d’insolito nel modo in cui Mrs. Rhees diede la comunicazione. Aveva utilizzato il tono monotono, pacato e metodico di sempre. Stavolta, però, ne fui turbato. Dentro di me riuscivo già a vedere gli occhi di papà brillare ed il suo fisico imponente fremere d’impazienza. Come un attore da strapazzo hollywoodiano, neanche papà avrebbe resistito a questa opportunità di mettersi in mostra. A dire il vero non c’erano attoruncoli ad Hollywood o sui palchi di Broadway più grandi di papà, un calzolaio.
Non che non volessi bene a papà. Gli si doveva voler bene, che si fosse imparentati con lui o meno. Era affabile, cordiale e premuroso, e tutti nel vicinato parlavano bene di lui.
“Ragazzi” aveva detto Mrs. Rhees “Il nostro preside sta invitando i genitori di tutti gli alunni della scuola per il Loyalty Day Observances. Vorrei che esortaste i vostri ad essere presenti, se possibile. Io sto mandando inviti personali ai padri di tutti gli studenti della nona classe. Alcune parole pronunciate da loro in chiusura, completeranno il nostro spettacolo. So che molti dei vostri padri lavoreranno, ed alcuni non se la sentiranno di parlare. Sarà sufficiente che tre o quattro accettino di tenere un discorso”.
Lanciai un’occhiata a Spencer De Moss. Sorrideva alla professoressa con irritante superbia. Suo padre era procuratore del distretto ed un brillante oratore. Il padre di Madelaine Cotter, invece, era consigliere comunale e non si sarebbe mai lasciato sfuggire l’occasione di racimolare un voto qua e là. Ma in quanto al resto, Mrs. Rhees avrebbe ricevuto dei cordiali rifiuti.
Di norma papà non aveva modo di partecipare alle attività scolastiche. Lavorava ogni giorno. La sua fabbrica di scarpe, comunque, si stava trasferendo in una zona più grande e papà si stava godendo una lunga vacanza. Non riuscivo ad immaginare papà che presenziava ad un qualsiasi evento senza parteciparvi attivamente. Non volevo che fosse presente proprio a questo perché era un esibizionista, non riusciva mai ad essere serio ed il suo miscuglio tra inglese ed italiano era semplicemente comico.
Mr. Wright, il preside, era stato il promotore del Loyalty Day Observances. Lo spettacolo del giorno doveva essere allestito dai ragazzi della nona classe. La maggior parte delle famiglie del quartiere aveva dei cari in servizio. Carl, il maggiore di noi cinque fratelli, era all’estero nel bel mezzo dei combattimenti, mentre mio fratello Victor aveva appena ricevuto la notizia dall’Esercito che aveva superato la visita medica e sarebbe stato chiamato dopo 15 giorni. La mamma aveva uno sguardo afflitto e preoccupato ultimamente.
A quel tempo non ero a conoscenza di quello che passava per la mente di papà, delle forze che determinavano le sue azioni. Sono arrivato a concludere che le sue farse fossero il risultato di un’indole spontaneamente impetuosa, associata alla severa preparazione che papà ricevette quando, ancora ragazzo, aveva cantato da baritono per una piccola compagnia d’opera italiana. Inutile dire quanto fosse popolare nel quartiere e richiesto alle cerimonie. Nessuna famiglia avrebbe mai pensato di organizzare un banchetto di nozze senza invitare papà.
Questo genere di trattenimenti seguivano sempre lo stesso schema. Si tenevano in ampie sale antiquate, piene zeppe di gente festosa. Alcune ragazze carine servivano arachidi, biscottini, dolcetti e vino alla gente seduta. Solitamente c’era una grande orchestra che suonava con trasporto mazurke, walzer o tarantelle, mentre le coppie ballavano con una tale esuberanza da urtarsi a vicenda fino, quasi, a cadere per terra. Ad un’estremità della sala sedevano lo sposo e la sposa, ad un lungo tavolo sul quale venivano esposti i regali e la torta nuziale. Al culmine dei festeggiamenti, l’orchestra smetteva di suonare ed il direttore alzava le mani per richiamare l’attenzione di tutti. “Signore e signori” diceva “dopo varie suppliche ed incitazioni, siamo finalmente riusciti a convincere il buon Don Nicola Barone a cantare alcune canzoni per noi. A voi –Don Nicola Barone!”
Papà procedeva con spavalderia fino al centro della pista, accompagnato da una cascata di applausi provenienti da ogni parte della sala. C’erano anche delle sonore risate al pensiero che papà si fosse fatto pregare ed incitare per cantare. Dietro papà, quasi come un fedele cuccioletto, seguiva il magro, calvo e mite Don Domenico, che si sedeva al pianoforte o abbracciava una chitarra, se non c’erano pianoforti. Don Domenico era un bravo musicista ed amico di vecchia data di papà.
Don Domenico strimpellava qualche nota d’introduzione e papà iniziava a far tremare tutte le finestre della sala con quella potente voce da baritono che si ritrovava. Qualunque cosa cantasse, la folla era sempre sfrenatamente entusiasta.
“Bravo, bravo!” urlavano. “Per favore Don Nicola, ancora un’altra”. Papà sorrideva maestosamente, faceva cenno a Don Domenico e si lanciava in un altro inferno[1] di suoni.
Quando papà riteneva di avere cantato abbastanza, alzava le mani chiedendo l’attenzione di tutti in sala. Stava per arrivare al clou della sua performance, mentre le donne ridacchiavano dandosi di gomito, e gli uomini si scambiavano occhiatine d’intesa.
A quel punto iniziava il fiorito discorso di complimenti, durante il quale papà non mancava di decantare le virtù dello sposo ed elogiare la bellezza e le maniere raffinate della sposa. Ciò scatenava uno scoppio di risate generali, e bonarie battutine volavano da ogni parte della sala interrompendolo, tanto che papà finiva sempre per alzare le mani in alto, comandando assoluto silenzio.
Ricordo bene la reazione della mamma a tutto questo. La mamma non esprimeva mai la sua approvazione nei confronti di tutto quello che faceva papà; ciononostante era orgogliosa di lui. Mentre papà si esibiva, lei, seduta in un angolo, lo guardava con le ciglia aggrottate in segno di disapprovazione, ma con occhi ridenti d’incoraggiamento.
Si, papà era proprio un terremoto. Quello che non volevo era un terremoto a scuola.
Ero a casa la sera che papà lesse la lettera di Mrs. Rhees. Quando la mamma gliela porse, era già aperta. La mamma leggeva sempre la posta di papà.
Non appena lesse l’invito, gli occhi gli si spalancarono “Grazia” disse, tutto eccitato “ti rendi conto che la mia reputazione di oratore è arrivata persino a scuola?!”
“Sei un vanesio” sospirò lei “ Non ti ha sfiorato il pensiero, Nicola, che probabilmente tutti i padri hanno ricevuto questo invito?”
“Non importa. Sono stato invitato a tenere un discorso e lo farò. Si, li stupirò con le mie qualità oratorie. Aggiungerò nuova gloria al nome dei Barone”
La mamma rise bonariamente. Papà improvvisò quell’assurdo ballettino che divertiva tanto la mamma. Di lì a poco tutti e due ridevano di cuore.
Come dissuaderlo? Qualsiasi obiezione al discorso per il Loyalty Day Observances sarebbe stata puro suicidio. Mi aggrappai disperatamente alla speranza che papà dimenticasse o decidesse di non tenerlo, oppure che avrebbero aderito all’iniziativa talmente tanti padri che non ci sarebbe stato spazio per lui in scaletta. Tenevo le dita incrociate mentre aspettavo il momento buono.
Due giorni dopo, durante la lezione di storia, il dado fu tratto. La lezione era finita ed avevamo già messo via i nostri libri, quando Mrs Rhees disse “Per ciò che concerne il Loyalty Day Observances, ho ricevuto quattro adesioni ai miei inviti da parte dei vostri padri. I quattro che hanno acconsentito a tenere un discorso sono: Mr. Jacob De Moss, Mr. Arnold Cotter, Mr. Robert Furness e –l’esitazione fu quasi impercettibile, ma fu comunque un’esitazione- Mr. Nicola Barone. Potreste per favore ringraziare queste persone da parte mia?”. Ci fu il consueto brusio di voci dopo una comunicazione. Io soffrivo maledettamente.
Tommy Gelfo, il mio migliore amico, si avvicinò per sussurrarmi all’orecchio. “Questo si che è un bell’affare” mi disse con compassione. “Cos’è? Il tuo vecchio è per caso impazzito?”.Annuii con autocommiserazione. Guardai Spencer De Moss, che aveva stampato in faccia un ghigno irritante.
Quel giorno fu lungo e praticamente insopportabile.
Quella stessa sera andai al negozio di Sotile per comprare qualcosa per la mamma. La campanella sopra alla porta tintinnò e Joe Sotile, l’unico figlio di Mr Sotile, si girò a guardare e mi salutò con la mano. Joe era terzino nella squadra di football. Era un eroe ai miei occhi .
“Ho sentito che il tuo vecchio terrà un discorso venerdì! Ragazzi, quello sì che è un tipo! Farà sbellicare tutti dalle risate!”. Le cattive notizie viaggiano in fretta.
“Stai zitto tu!” tuonò Mr. Sotile, mentre spezzava degli spaghetti da incartare per Donna Concetta.
“Non ti permettere di criticare un uomo come Don Nicola” disse donna Concetta, la quale comprava le cose un po’ alla volta, di modo da essere presente ad ogni notizia e pettegolezzo. “Non sapevo che avrebbe parlato venerdì. Tony non me l’aveva detto. Ma adesso che lo so, sarò di sicuro presente. Con Don Nicola in scaletta, sarà di certo una festa animata.”
“Stronzate! Voi vecchi mi sconcertate!” Rispose Joe, sbigottendomi con la sua totale mancanza di rispetto nei confronti di quelli più grandi di lui. “Pensate davvero che sia giusto che Mr. Barone partecipi, mettendo in imbarazzo questo povero ragazzo davanti a tutta quella gente? Ma come gli salta in mente di tenere un discorso, quando non sa neanche parlare bene inglese?”
“Sei un insolente e non sai nemmeno quello che dici. Non ti rendi conto di quanto sia intelligente Don Nicola. Sono certo che in qualsiasi circostanza lui sa sempre cosa dire al momento giusto” disse Mr. Sotile, rivolgendo a Joe uno sguardo truce.
“Lei ha perfettamente ragione” disse donna Concetta, annuendo vigorosamente con la testa.
Mr. Sotile si scusò con donna Concetta “È colpa mia. L’ineducazione di mio figlio è il risultato della mia permissività. Conosce il vecchio detto: Campo non seminato produce scarsa messe”.
“Oh, lei non è il solo, don Pepe” replicò donna Concetta “Sono i tempi. Anche noi abbiamo lo stesso problema a casa. Noi genitori faremmo meglio a crescere porci, non bambini. Così, appena cresciuti, li portiamo al mercato ed almeno ci guadagniamo qualcosa” “È vero” disse Mr. Sotile. “Idioti” disse Joe.
Quando tornai a casa con la spesa, ero visibilmente turbato.
La mamma mi chiamò “Ricco, vieni qui. Ti ho visto un po’ assente da un po’ di tempo a questa parte. C’è qualcosa che non va?”. Mi tastò la fronte per controllare se avevo la febbre. “Non è niente, mamma” risposi. Come potevo dirle che mi vergognavo di mio padre?
“Vieni con me, figliolo” mi ordinò. Mi fece sedere sul divano accanto a lei “Ora dimmi qual è il problema”. Calcolai le possibilità, e crebbe in me la speranza che probabilmente avrei potuto far capire alla mamma quanto fosse assurda l’idea che papà tenesse un discorso a scuola.
Cominciai a parlare “Mamma, sai come sono fatti i ragazzi. Se hanno qualcosa contro di te, ti rendono la vita difficile”. La mamma annuì. “Se qualcuno in famiglia fa qualcosa di stupido, tutti i membri ne sentono la vergogna. Tu mi capisci, vero mamma?”. La stavo implorando.
La mamma annuì di nuovo. Con voce fredda mi chiese: “Stai cercando di dirmi qualcosa a proposito del discorso che papà dovrebbe tenere venerdì, vero Ricco?”
Ignorando i segnali di tempesta, me ne uscii fuori con un “Morirei di vergogna se papà parlasse venerdì”.
“Ti vergogni di tuo padre?”, chiese la mamma con grande tristezza “Non l’avrei mai creduto. Abbiamo cresciuto una serpe in seno. Vai subito a letto, ingrato. Tuo padre è stato fin troppo buono con te. Non ti meriti un padre come il tuo”. Più scoraggiato che mai, andai a letto. La mamma non mi capiva. In effetti, era troppo sperare che mi capisse.
Quella notte feci un sogno così intenso da soffrirne come se fosse stata realtà. Papà stava ritto sul palco della scuola, declamando con una voce da uragano. Indossava una bombetta verde, un vestito a strisce rosse e bianche, ed un paio di ridicole scarpe di cartapesta. Agitava le braccia violentemente come delle girandole, e scuoteva la testa su e giù , da una parte all’altra. La sua voce era così possente e stentorea che le lampadine del soffitto oscillavano. Poi le pareti iniziarono a scricchiolare e sui muri apparvero delle crepe. A quel punto fu il panico generale. Tutti urlavano e si precipitavano verso le uscite.
Quando mi svegliai, stavo sudando freddo.
La mamma fece lo sciopero del silenzio per tutta la settimana. Mio fratello Dom, schierato dalla sua parte, fece lo stesso. Victor lavorava dopo la scuola, per cui lo vidi di rado; mentre papà passò la maggior parte del tempo a casa di Don Domenico. L’affare di venerdì pareva non toccarlo minimamente. Penso che se gli fosse stato chiesto di dare un consiglio al Presidente, lo avrebbe fatto senza battere ciglio.
Finalmente arrivò il tanto atteso venerdì. Quel breve tragitto per arrivare a scuola fu per me come andare al patibolo! Le lezioni iniziavano e finivano e, nonostante non vedessi l’ora che quel giorno passasse in fretta, detestavo ogni minuto che mi avvicinava sempre più al momento dell’assemblea.
Mi stupì l’adesione dei genitori. Il salone era strapieno di gente. Furono occupati persino dei posti a sedere improvvisati per l’occasione. Cortesemente molti cedettero il loro posto, restando in piedi. Non potevo fare a meno di pensare con amarezza che papà stava per mettere in scena il suo spettacolo dinanzi ad una folla così numerosa.
Diedi un’occhiata in giro e scorsi mia madre seduta in fondo, tra gente estranea. Alcune file dietro, sedevano Donna Concetta e Mr. Sotile. Tutto il vicinato era presente. La Murphy Post Band iniziò ad intrattenere il pubblico con alcuni vecchi successi e marce trascinanti. Lo spettacolo iniziò con il giuramento di fedeltà alla bandiera. Poi la banda suonò “The Star-Spangled Banner”, mentre tutti cantavamo.
Non riuscii a godermi lo spettacolo in pieno, turbato com’ero. A ripensarci adesso, l’esibizione delle nostra classe fu degna di lode. La piccola Madeleine recitò una poesia molto commovente. Il mio amico, Tommy Gelfo, sorprese tutti con una recitazione di cui nessuno lo avrebbe ritenuto capace. Poi fu la volta di un quartetto di barbieri che cantarono degli inni patriottici con armonico trasporto. La platea degli adulti ci accoglieva con entusiasmo. Demmo il meglio di noi stessi mettendo in scena una recita basata su un tema storico, per la quale c’eravamo esercitati parecchio. Filò liscia fino all’ultimo, e la reazione favorevole del pubblico in sala rese proficuo l’impegno profuso nel prepararla. Mrs. Rhees sfoggiava un sorriso a 32 denti. Mentre gli operai di scena ripulivano il palco, la Murphy Post Band intratteneva il pubblico con dell’altra musica.
A quel punto Mr. Wright avanzò verso il centro del palco e presentò Mr. Robert Furness.
Mr Furness era un imprenditore edile, il cui figlio Jimmy era con noi in classe. Era un uomo alto, magro, vestito in tweed. Il suo discorso fu scorrevole e chiaro. Parlò dell’aumento del costo della vita, delle cause che lo provocavano, di come frenarlo e dei pericoli che correva la nazione se non si fosse intervenuti in tempo. Fu un bel discorso pieno di saggi consigli. Lasciò la platea pensierosa. Era ciò che Mr. Furness si era riproposto di ottenere con le sue parole.
Poi Mr Wright presentò il padre di Madeleine Cotter. Mr Arnold Cotter era un uomo grasso e pelato, dotato di quell’eloquenza tipica dei volponi politici. Il suo discorso fu scorrevole, mentre spiegava la gravità degli scacchi militari subiti. Resistendo alla tentazione di un’arringa politica, fece in modo di infondere nei nostri cuori la speranza di una vittoria finale e della pace. Gli applausi furono generosi, e ciò giovò sicuramente alla sua causa politica.
Quando Mr. Jacob De Moss avanzò a grandi passi verso il centro del palco, diedi un’attenta occhiata in giro. Era uno dei più brillanti oratori del tempo. Era un gran bell’uomo, dall’aspetto dignitoso, e lo si considerava astuto come una volpe. Subito teneva il pubblico in pugno, facendo tutto un discorso sulle ragioni storiche e le cause ed effetti della guerra.
I discorsi di questi raffinati oratori lasciarono il pubblico serio. Papà avrebbe rotto quell’atmosfera con delle fragorose risate. Avrebbe trasformato quell’affare in una cosa grottesca e ridicola.
Adesso Mr. Wright stava presentando papà e lui, con fare deciso, avanzava a grandi passi verso il palco. Cominciai a sudare freddo, scivolando giù dalla poltrona per la vergogna. Non osavo incrociare lo sguardo dei miei compagni di classe. Con gli occhi chiusi, pensando forse che sentirlo parlare sarebbe stato abbastanza penoso, ma vederlo gesticolare violentemente sarebbe stato troppo, pregavo che finisse presto. “Ecco che arriva il cabarettista” pensavo “Li farà rotolare per terra dalle risate”.
Quando la voce di papà mi arrivò alle orecchie, con sorpresa mi resi conto che non era come me l’aspettavo. Non stava sussurrando, ma parlava con voce trascinante. Nonostante fosse controllato e piuttosto moderato, l’accento italiano era pur sempre percepibile; ma papà gli stava dando un fascino sorprendente. A poco a poco mi sciolsi. Guardai mio padre come se lo stessi vedendo per la prima volta. Era tutto sincerità e dignità. Mi venne da pensare “Papà è uno che la sa lunga!”. Poi prestai attenzione a quello che diceva. Non proverò a riportare fedelmente quello che disse, perché sarebbe impossibile. Ma, in buona sostanza, disse: “Mi dispiace che le mia limitata conoscenza dell’inglese m’impedisca di dirvi quello che il mio cuore vorrebbe dire. Ci sono così tante paure, così tante speranze e suggerimenti per il presente ed il futuro che vorrei condividere con voi. Fortunatamente, gli oratori capaci che mi hanno preceduto hanno detto queste cose in grande stile. Ci sono, comunque, due linguaggi che sono universali: il linguaggio della musica e della preghiera. Quando questi due linguaggi sono combinati insieme, viene fuori qualcosa di veramente bello. Con il vostro permesso, vorrei cantarvi una preghiera accompagnata da musica. Siamo tutti coscienti del bisogno di una guida spirituale in questo periodo particolarmente difficile, e conosciamo tutti la “Preghiera al Signore”. Vi canto la “Preghiera al Signore”.
Don Domenico salì le scale del palco. Andò al pianoforte senza dire una parola. Strimpellò qualche nota d’introduzione. Pensai che papà li avrebbe fatti saltare tutti dalle poltrone! Mi sbagliavo di nuovo.
Papà intonò le parole di quella struggente canzone di preghiera con la cura di un tagliatore di diamanti. Teneva sotto controllo la sua voce: era di una bellezza difficile da credere. Man mano che le note si susseguivano prive di stonature, mi resi conto che era sul serio un grande cantante. Ed era mio padre! Mi sentivo un nodo in gola ed una pressione al petto, che riconobbi come un impeto d’orgoglio che cercava di esplodere aldilà di ogni costrizione.
Molte cose mi furono chiare allora. Riconobbi il papà che, nel mio egoismo, era diventato un estraneo, il papà che, colto da insonnia, camminava in giro per la casa di notte. Aveva passato molte ore guardando le strade fuori dalla finestra, non vedendo niente, ma pensando a Carlo che era all’estero, chiedendosi dove potesse essere, cosa stesse facendo, e se fosse ancora vivo. Poi pensai alle incursioni notturne di papà nella nostra stanza, quando lui pensava che stessimo dormendo, e ricordai che ci osservava tutti, uno per uno. Mentre lui cantava, io mi sentivo mortificato. La mamma aveva ragione! Non meritavo un padre come lui.
Papà lasciava andare fuori la voce giusto un pochino, emettendo note sincere. Mi provocò dei brividi lungo la schiena. Mandò fuori le note di chiusura con dolcezza: arrivarono come angeli che camminano con passo leggero su delle ragnatele.
Nonostante fossi in uno stato di confusione, potevo sentire, e quello che sentii fu assoluto silenzio. “Non è piaciuto” pensai “tengono le mani sotto il sedere!”. Mi stavo arrabbiando, e avevo voglia di alzarmi e dire a tutti quello che pensavo di loro. Lentamente si sollevò un applauso. In breve erano scrosci d’applausi. Poi tutti si alzarono in piedi battendo la mani con grande trasporto.
Sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla. Quando mi girai a guardare, c’era Mrs. Rhees. “Ricco” mi disse, con voce tremante per l’emozione “Che grand’uomo è tuo padre. Devi essere veramente fiero di lui.”
Potei solamente annuire. Mi era impossibile parlare. Andava bene comunque, perché nessuna parola avrebbe potuto esprimere quello che sentivo.
A.J. Ciulla, “Papa was a riot”, Rubicon Books, 1983 (traduzione di Chiara Mazucchelli)
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Testo originale:
PAPA WAS A RIOT
There was nothing out of the ordinary in the way Mrs. Rhees made the announcement. It was in the quiet, businesslike monotone she always used. This one, however, gave me quick alarm. In my mind's eye, I could see Papa's eyes gleaming and his portly body quivering in eager anticipation. He could no more resist this opportunity to show off than could a Hollywood ham. Actually, there was no bigger ham in Hollywood or on the Broadway stage than was Papa, a shoemaker.
It wasn't that I didn't love Papa. You had to love him, whether you were related to him or not. He was kind, gentle, and considerate, and everybody in the neighborhood had a good word for him.
"Students," Mrs. Rhees had announced, "our principal is sending invitations to the parents of every pupil in school for our Loyalty Day Observances. I want you to urge them to attend if at all possible. I am sending personal invitations to the fathers of all ninth graders to participate. A few words from them will round out our program. I know most of the fathers will be working, and some will not feel like appearing on our program. If three or four will agree to speak, it will be sufficient."
I glanced at Spencer De Moss. He was smiling up at the teacher with irritating smugness. His father was district attorney and a brilliant speaker. Madelaine Cotter's father was an alderman and wouldn't think of passing up a chance to pick up a stray vote here and there. But for the most part, Mrs. Rhees was going to get polite refusals. Ordinarily Papa has no opportunity to come to the school functions. He worked every day. His shoe factory, however, was moving to larger quarters, and Papa was enjoying a lengthy vacation. I couldn't picture Papa attending any affair without participating. I didn't want him attending this one because he was an exhibitionist, he was never serious, and his English mixed with Italian was comical.
Mr. Wright, our principal, had thought of the idea for the Loyalty Day Observances. The program was to be put on by the ninth grade. Most of the families in the neighborhood had loved ones in the services. Carl the oldest of our five boys, was overseas and in the thick of the fighting. Brother Victor had just received notice from the Army that he had passed his physical and would be called in two weeks. Mama was wearing a sick and worried look these days.
At the time, I wasn't aware of what made Papa tick, of the forces that determined his actions. His theatrics, I have come to realize, were the result of a naturally enthusiastic nature coupled with the severe training Papa had received when, as a youth, he had sung baritone for a small opera company in Italy. Needless to say, he was popular in the neighborhood and very much in demand at social functions. No family would think of holding a wedding reception without inviting Papa.
These wedding receptions followed the same general pattern. They were held in large, stuffy halls jam-packed with a festive crowd. Pretty girls served peanuts, cookies, sweets, and wines to the sitting populace. There was generally a large band furiously playing some mazurka, waltz, or tarantella, while the dancing couples nearly knocked themselves out on the floor with their eagerness. At one end of the hall, at a long table on which were placed the wedding gifts and the wedding cake, sat the bride and groom.
When the festivities had reached a climax, the band would stop playing, and the band leader would hold up his hands for silence.
"Signore e signori," he would announce, "with much pleading and urging, we have finally prevailed upon the good Don Nicola Barone to sing a few songs for us. I giveyou—Don Nicola Barone!"
Papa would swagger to the middle of the floor, with applause cascading all over the place. There was much laughter, too, at the notion that Papa needed pleading and urging to sing. Following Papa, almost like a faithful puppy, was the thin, bald, and mild-mannered Don Domenico, who would seat himself at a piano or pick up a guitar if there were no piano. Don Domenico was a really fine musician and Papa's life-long friend.
Don Domenico would strike a few chords of introduction, and Papa would proceed to rattle every window in the place with that powerful baritone of his. No matter what he sang, the crowd was wildly enthusiastic.
"Bravo, bravo!" they would cry. "Please, please Don Nicola, another one." Papa would smile majestically, nod to Don Domenico, and launch into another inferno of sound.
When Papa thought he had sung enough, he'd hold up his hands for complete silence. The high point in his performance was coming up, and the women would giggle and nudge each other while the men would exchange knowing winks. Then would begin a flowery and highly complimentary talk by Papa, in which he would extol the virtues of the groom and praise the beauty and the lady-like qualities of the bride. This would produce a riot of laughter, and good-natured banter would fly about the hall, interrupting Papa, who would finally raise his hands again commanding silence.
I remember Mama's reaction to all this. Mama never voiced approval of anything Papa did, but she was proud of him, nevertheless. While Papa performed. Mama, with her brows knit in disapproval but her eyes laughing encouragement, would sit watching at the sidelines. Yes, Papa was a riot. What I didn't want was a riot at school.
I was home the night Papa read the letter from Mrs. Rhees. When Mama handed it to him, it already had been opened. Mama always read Papa's mail. As Papa read the invitation, his eyes grew wide. "Grazia," he said in excitement, "see how my reputation as a speaker has reached the school!"
"You are a vain one," she sighed. "Has it not occurred to you, Nicola, that perhaps all fathers have received similar letters?"
"That is of no importance. I have been invited to speak and I will accept. Yes, I will astound them with my oratory. I will add new glory to the name of Barone."
Mama laughed good-naturedly. Papa went into his absurd jigstep that was designed to amuse Mama. Soon both Papa and Mama were laughing heartily. To void? an objection to Papa's speaking at the Loyalty Day Observances at this time would have been pure suicide. I hung desperately to the hope that Papa would forget or decide not to go through with it, or that so many fathers would consent to speak there would be no room on the program for Papa. I had my fingers crossed as I bided my time.
Two days later in history class, the die was cast. The lesson was over, and we had put away our books. "In regard to the Loyalty Day Observances on Friday," began Mrs. Rhees, "I have received four acceptances to my invitations to your fathers. The four who have agreed to speak are—Mr. Jacob De Moss, Mr. Arnold Cotter, Mr. Robert Furness, and—" the hesitation was almost imperceptible, but a hesitation nevertheless—"Mr. Nicola Barone. Will you thank those men for me?" There was the usual murmur of voices after the announcement. I was suffering.
Tommy Gelfo, my best friend, leaned over to whisper to me. "Big deal!" he said sympathetically. "What's the matter with your old man? Gone crazy?" I nodded in self-pity. I looked at Spencer De Moss, and he was wearing an infuriating grin. The day was long and practically unbearable.
That night I went into Sotile's Grocery Store to do some shopping for Mama. The bell over the door tinkled, and Joe Sotile. Mr. So file's only son, looked up and waved. Joe was a fullback on the football team. He was a hero to me.
"So your old man is gonna make a speech Friday! Boy, is he a character! He'll have them in stitches!" Bad news travels fast.
"Silence, you!" roared Mr. Sotile, who was in the act of breaking up some spaghetti on wrapping paper for Donna Concetta.
"Do not criticize a fine man like Don Nicola," said Donna Concetta, who did her shopping piece-meal so as to be present for all news and gossip. "I did not know he was going to speak Friday. My Tony did not tell me. I am surely going now. With Don Nicola on the program, it will be a lively affair."
"Baloney! You old folks give me a pain! Answered Joe, startling me with his complete lack of respect for his elders. "Do you think that's a smart thing for Mr. Barone to do—to embarrass the poor kid in front of all those people? Where does he get off making a speech when he can't even speak English right?
"You are an insolent one and do not know what you are saying. You do not realize how intelligent Nicola is. I have confidence that he will know what to say and when to say it, no matter what the circumstances," said Mr. Sotile, giving Joe a dirty look.
"You are absolutely right," agreed Donna Concetta, nodding vigorously.
"It is my fault," Sotile apologized to Donna Concetta. "My son's bad manners reflect the looseness of my training of him. You know the old saying, AN UNWEEDED GARDEN PRODUCES A POOR CROP!"
"Oh, you are not alone, Don Pepe," replied Donna Concetta, "it is the times". We have that problem at home too. We parents would be further ahead if we raised hogs instead of children. That way after they are grown, we can send them to market and realize a profit." "That is true," agreed Mr. Sotile. "Nuts," said Joe.
When I went home with the groceries, I was in a disturbed state of mind.
"Ricco," Mama called, "come here. You have not been yourself lately. Is something wrong?" She put the back of her hand to my forehead to see if I was running a temperature. "It's nothing. Mama," I answered. How could I tell her that I was ashamed of my father?
"Come with me, my son" she commanded. She sat me on the sofa next to her. "Now," she said, "tell me what this is all about." I weighed the possibilities, and hope grew that maybe I could make Mama see how absurd it was for Papa to speak at the school.
"Mama," I began, "you know how kids are. If they get anything on you, they make life miserable for you." Mama nodded. "If someone in the family does something foolish, everybody in the family feels the shame of it. You understand, don't you. Mama?" I was pleading.
Again Mama nodded. Her voice was cold as she said, "You are trying to tell me something about your father speaking Friday, are you not, Ricco?"
I ignored the storm warnings and blundered on. "I will die of shame Friday if Papa speaks."
"You," asked Mama with great suddenness, "ashamed of your father? I would never have believed it. We have raised a viper in our midst. Go to bed, you ungrateful child. Your father has been too good to you. You do not deserve a father like that." Feeling more discouraged than ever, I went to bed. Mama didn't understand. It was too much to hope that she would understand.
There came to me in my sleep a fantastic dream so vivid that I suffered as much as if the thing were real. Papa was declaiming on the school stage in a voice that was like the hurricane. He was dressed in a green bowler hat, candy-striped suit, and ridiculous red papier-mâché shoes. His arms were waving violently like pinwheels, and his head was shaking up and down and from side to side. So loud and overpowering was his voice that the ceiling lights were swaying. Then the walls moved and started to crack. This started a panic. Everybody was screaming and stampeding to the exits. When I awoke, I was in a cold sweat.
Mama gave me the silent treatment for the rest of the week. My brother Dom, playing politics, joined Mama in this treatment. Victor was working after school and I seldom saw him, while Papa spent most of the days at the home of Don Domenico. The affair on Friday wasn't bothering Papa in the least. If he were asked to advise the President, I believe he would do so without blinking an eye.
Friday finally came around. That short walk to school was like the walk to the death chamber! The classes came and went, and though I wished the day were over, I hated each passing minute because it brought me closer to the assembly hall.
I was amazed at the response of the parents. The hall was jammed. Even the improvised seating facilities were filled. Many obligingly consented to stand. I couldn't help thinking bitterly that Papa was going to put on his act before a "standing room only" crowd.
Looking around, I spotted Mama sitting with complete strangers down front. Several rows back I spied Donna Concetta sitting with Mr. Sotile. It seemed the whole neighborhood was there. The Murphy Post Band began entertaining with some old favorites and stirring marches. The program started with the pledging of allegiance to the flag. Then the band played, "THE STAR-SPANGLED BANNER" while we all sang.
Being in an agony of anxiety, I could not at the time appreciate the program. As I look back now, the performance of our ninth grade certainly was worthy of praise. Little Madelaine recited a poem with stirring effect. My buddy, Tommy Gelfo, surprised everyone with a recitation of which no one thought him capable. Then there was a barber shop quartet that sang patriotic songs with feeling and pleasing harmony. The grown-up audience was receiving us with enthusiasm. We topped all efforts with a well-rehearsed play on a historical theme. It went off smoothly, and the favorable reaction of the crowd made all the work involved in preparation worthwhile. Mrs. Rhees was grinning from ear to ear.
While the stage hands were clearing the stage, the Murphy Post Band went to work again and entertained with more music. Then Mr. Wright went to the center of the stage and introduced Mr. Robert Furness.
Mr. Furness was a building contractor, whose boy Jimmy was in our grade. He was a tall, lanky man in tweeds. His delivery was smooth and easy. He spoke on the rising cost of living, what caused it, how it could be checked, and what danger to the nation this would constitute if it were not checked. It was a good speech filled with sage advice. It left the audience in a thoughtful mood, which is what Mr. Furness had set out to do.
Next, Mr. Wright introduced Madelaine Cotter's father. Mr. Arnold Cotter was fat and bald and had the eloquence required of a. practical politician. His speech was slick, as he explained the seriousness of the military setback. To his credit, he desisted from political harangue and did much to put hope into our hearts for final victory and peace. The applause was generous, and he certainly did his political cause no harm that day.
When Mr. Jacob De Moss strode to the center of the stage, I took a long and careful look. Here was one of the finest speakers of the time. He was handsome and dignified, and his brain was reputed to be razor-sharp. He soon had the crowd in the palm of his hand as he gave a brilliant, behind-the-scenes, historical-background talk on the cause and effect of war.
The mood that was created by these fine speakers was a deadly serious one. Papa was going to shatter that mood with a resounding crash. He was going to make the affair a grotesque and ludicrous thing.
Now Mr. Wright was introducing Papa, and Papa was purposefully striding toward the stage. I grew cold all over and slid down in my seat. I dared not sneak a glance at my classmates.. Closing my eyes, perhaps with the thought that hearing him was bad enough, but to see the violent gestures would be too much, I prayed hard that it would be over soon. Here comes the comedian, I thought. He'll have them rolling in the aisles.
Papa's voice came to me, and with a shock, I realized it wasn't quite what I had expected. His voice was no whisper by any means; it had carrying power. However, it was restrained and rather gentle, the accent was there; it was so thick you could slice it, but Papa was giving it a surprising charm. I sat up and opened my eyes. I felt myself thaw out. I looked Papa over as if seeing him for the first time. He was all dignity and sincerity. It came to me—Papa's been around!
Then I paid real attention to what he was saying. I won't attempt to quote him verbatim; that would be impossible. He was saying in effect, "I regret that my limited knowledge of the English language forbids my saying to you the things my heart wishes to say. There are so many mutual anxieties I would like to share with you, so many fears, so many hopes, so many suggestions for the present and future. Fortunately, the very capable speakers before me have said these things in grand style. There are, however, two languages that are universal—the language of music and the language of prayer. When these two are combined, a thing of beauty is created. With your permission, I would like to sing for you a prayer set to music. We all realize the urgent need for spiritual guidance in these troubled times, and we are all familiar with 'THE LORD'S PRAYER'." I sing for you, 'THE LORD'S PRAYER'."
Don Domenico was climbing the steps to the stage. He went to the piano without a word. He struck a few chords of introduction. I thought that Papa was going to blast them out of their seats! Again, I was wrong.
Papa caressed the lyrics of that yearning, pleading song with all the care of a diamond cutter. He had his voice well in check. There was beauty in it beyond belief. With the succeeding flawless notes, I realized that he was truly a great singer. And he was my father! There was a constriction in my throat and a pressure on my chest that I recognized as pride trying to burst all restraint.
Many things were clear then. I recognized the Papa who, in my selfishness, had become a stranger—the Papa who paced the floor nights because of insomnia. He had spent many hours staring out into the streets, not seeing, but thinking of Carl overseas—where he might be, what he was doing, if he was well, and if he was alive. Then I thought of Papa's nocturnal visits to our bedroom when he thought we were all asleep, and remembered his staring at us one at a time. As I listened to Papa singing, I felt thoroughly humble. Mama was right! I didn't deserve such a father.
Papa let his voice out just a trifle, emitting heart-felt notes. It sent a shiver down my spine. He drew the closing notes out tenderly: they came like angels treading on cobwebs.
Though my vision was hazy, I could hear, and what I heard was absolute silence. They don't like him, I thought; they're sitting on their hands! I was growing angry, and I wanted to stand up and tell the crowd what I thought of them. Slowly the applause rose. It rose to thunder. Then everybody was standing up and clapping furiously.
I felt a hand on my shoulder. When I turned to look, there was Mrs. Rhees. "Ricco," she managed to say—her voice had an odd catch—"what a great man your father is. You must be very proud."
I could only nod. Speech was impossible for me. It was just as well, for no words could have adequately expressed my feelings.
[1] In italiano nel testo.