Negli anni ‘50 erano in pochi a Valguarnera a possedere una moto. Un giorno, il padre comprò una Bianchi 250 al figlio Vincenzo. Un motore bello grosso e in ottime condizioni benché di seconda mano. Il giovane Vincenzo era contento di quel regalo. In quel periodo, lavorando da idraulico, incominciava a guadagnare dei bei soldini e si poteva permettere il lusso di comprare la benzina per andare fuori paese con qualche amico a divertirsi. Però aveva promesso a suo padre di non uscire fuori dal paese con la moto. Ma come succede con i giovani, certi accordi con i genitori non vengono rispettati. Così, dopo tante escursioni fuori città, venne scoperto. Suo padre gli tolse allora la chiave della moto: “Accussì t nzìgn” gli disse.
Ma Vincenzo da buon artigiano se ne costruì subito una falsa con un chiodo. Le sue escursioni continuavano allegramente. Naturalmente doveva usare molta prudenza per non essere visto. Suo papà con la chiave in tasca era tranquillo e ogni tanto andava al piano terra della casa a controllare se la moto fosse stata spostata. Ma Vincenzo conoscendolo era molto accorto. Per non farsi scoprire, calcolava i millimetri e quando rientrava rimetteva tutto come prima. Solo dopo alcuni mesi, per puro caso, venne scoperto. Al genitore serviva un oggetto che si trovava nel locale dove era posteggiata la moto; dovette rientrare a casa prima del solito e fu in quel momento che si accorse che suo figlio l’aveva presa. Mise la mano in tasca per cercare la chiave e la trovò subito: “Ha fatto la copia. Come al solito mi ha preso in giro, bisogna trovare un’altra soluzione. Ecco gli debbo togliere il libretto di circolazione, quello non può certamente fabbricarlo”.
Quella sera quando Vincenzo rientrò a casa gli disse: “Tieni la chiave della moto, visto che ne hai una falsa non capisco perché io debba tenere l’originale e visto che hai messo la moto al suo posto vai a prendere il libretto che lo voglio tenere io, così se ti fermano i carabinieri ti sequestrano la moto e poi facciamo i conti”. Il signor Giambra, sicuro questa volta di aver incastrato il figlio, mise il libretto in un sacchetto di carta e lo nascose in un posto che solo lui sapeva: sotto il materasso del suo letto in modo da poterlo controllare anche la notte. Dopo alcuni mesi venne a sapere che suo figlio non solo aveva continuato a uscire con la moto ma addirittura, gli riferirono, di essere stato visto girare per tutta la provincia. “Ma come” pensò “rischia il sequestro della moto? Ma è pazzo. E’ arrivata l’ora di farla finita. Vendo la moto”.
Quel giorno a pranzo gliene disse di tutti i colori. Ma Vincenzo negava. Intanto il giorno seguente sparse la voce che aveva una moto da vendere. Non passò molto tempo, solo alcuni giorni, quando si mise d’accordo sul prezzo con un compratore. Fissò l’appuntamento con il notaio per l’atto di vendita, senza dire niente al figlio, tanto la moto era a suo nome. Così dopo un paio di giorni erano davanti al notaio per l’atto di vendita. “Signor Giambra, intanto mi dia il libretto di circolazione” disse il notaio. “Porca miseria non l’ho portato, ma lo vado a prendere in due minuti, tanto abito vicino. Torno subito”. Di corsa si avviò a casa sua e strada facendo incominciò a pensare dove l’aveva nascosto. Non ci mise tanto. Arrivato a casa si infilò subito nella stanza da letto, alzò il materasso, prese il sacchetto con il libretto e dopo cinque minuti lo mise sopra la scrivania del notaio.
Il notaio aprì il sacchetto e tirò fuori il libretto ma quando vide la copertina disse: “Mi scusi stiamo forse giocando? Ma cosa mi ha portato, questo è un catechismo, con questo può andare in Chiesa. Il signor Giambra saltò dalla sedia, prese il catechismo tra le mani: “Figghj d lorda p chiss f’rrìa tutta a provincia. U librett c l’au idd. Sta vota u mazz. Domani ci vediamo”. Scappò di corsa e correva verso casa con il catechismo in bocca nero di rabbia. Per la figuraccia che gli aveva fatto fare diede a Vincenzo un calcio sul sedere ma anche lui si divertiva con la furbizia del figlio.
L’indomani si ritrovarono tutti dal notaio, compreso Vincenzo e tra le risate generali vendettero la moto. Ma l’ultima parola come al solito fu di Vincenzo che rivolto a suo padre disse : “Ma a nott t’u l’ggìvat u catachìs’m?”.
Nino Santamaria