LA BOTTIGLIA DI VINO

L’archivio del Comune di Valguarnera era collocato a piano terra del Palazzo di città, proprio dietro l’Ufficio Anagrafe, lì dove lavorava Zio Ciccio, uomo di grande esperienza anche per la sua anzianità di servizio e grande conoscitore dell’animo umano. Ogni tanto, gli impiegati comunali che prestavano servizio in quell’Ufficio, usavano organizzare una schtcchiàta proprio nei locali adibiti ad archivio dove non c’era accesso al pubblico e, quindi, dove si poteva mangiare tranquilli e senza essere visti dal segretario comunale, detto il “tedesco”, il quale non avrebbe mai autorizzato una cosa del genere.

All’epoca, il signor Marmone, usciere comunale, era conosciuto per l’ottima qualità del vino che produceva con l’uva della sua vigna. Ma era ancora più conosciuto per il fatto che quel vino non lo vendeva né ne regalava a chicchessia. Zio Ciccio, al quale bere del buon vino piaceva, ogni anno chiedeva all’usciere qualche bottiglia di vino, naturalmente a pagamento, ma non c’era niente da fare. Tentò, allora, di aggirare l’ostacolo.

Un giorno disse al signor Marmone che per il giorno dopo si stava organizzando una schtcchiàta nell’archivio e che se lui voleva poteva partecipare. L’usciere, onorato per l’invito ricevuto, sentì l’obbligo di chiedere come poteva contribuire; zio Ciccio rispose che lui aveva ordinato un po’di salsiccia al macellaio e che gli altri si stavano organizzando per il resto. L’unica cosa che mancava era il vino. L’usciere non se lo fece ripetere due volte: “Ma al vino ci penso io. Quanto ne debbo portare ?” e zio Ciccio: “Penso che una bottiglia di 2 litri può bastare. Domani mattina la porti che così la conserviamo assieme alle altre cose”.

L’indomani mattina, come al solito, il signor Marmone arrivò per primo per aprire il portone del Comune e puntualissimo aspettò zio Ciccio per consegnargli la bottiglia da 2 litri piena del suo pregiatissimo vino. Quando questi l’ebbe tra le mani l’alzò per aria, contro luce, per ammirare il colore del vino. Era di un rosso meraviglioso, ingoiò come se ne avesse bevuto un sorso: “Bello, bello signor Marmone , non vedo l’ora di berne un bicchiere dopo aver mangiato la salsiccia che tra poco andrò a prendere dal macellaio. A lei piace piccante vero?”. L’usciere assentì e tutto contento si avviò per iniziare il suo lavoro. Quella mattina, zio Ciccio si era portato da casa una bottiglia vuota di 2 litri e con quella piena di vino si nascose in fondo all’archivio, dove c’era la cosiddetta mangiatura che poi non era altro che lo schedario di tutti i cittadini morti ed emigrati che aveva la forma del posto dove mangiavano gli animali, appunto a mangiatura.

Travasò il vino nella sua bottiglia lasciandone una piccola quantità in quella che aveva portato l’usciere, che riempì di acqua. Il posto dove si trovava era poco illuminato e quel poco di vino mischiato con l’acqua era stato sufficiente per dare alla bottiglia il colore giusto. Ad operazione fatta rientrò nel suo ufficio a lavorare.

Dopo le 11,30, quando l’ufficio si chiudeva al pubblico il signor Marmone si presentò per informarsi come andavano le cose e se tutto era pronto per la schtcchiàta.

Trovò zio Ciccio incazzato: “Ma ch success?” e zio Ciccio: “Qualche figlio di buona madre è andato a raccontare tutto al segretario comunale, il quale è sceso all’improvviso ed ha sequestrato tutto. L’unica cosa che si è salvata è stata la bottiglia di vino che avevo nascosto” e l’usciere: “Mi dica dove si trova che la metto nella borsa e la riporto a casa”.

Il signor Marmone rimase male per il fallimento della mangiata e pensò che avrebbe fatto una cattiva figura a farlo sapere a casa. Così decise di regalare la bottiglia di vino al cognato che aveva il negozio nell’adiacente via Garibaldi. Pensò di farlo subito, prima della chiusura del negozio.

Il cognato rimase piacevolmente sorpreso per il regalo ricevuto e disse: “Grazii, m’u biv a vostra salut”. Il problema sorse a ora di pranzo, quando bevette il primo sorso di vino. Ci volle poco a capire che si trattava di acqua e non di vino. Diventò un animale e disse alla moglie: “Quel meschino si è permesso di farmi bere la sua acqua sporca. Questa la pagherà cara. Non lo guarderò più in faccia per tutta la vita. Ma cu minchia c l’ava dumanat u vin?”.

L’indomani mattina, passando davanti la porta del negozio del cognato, l’usciere si avvicinò all’ingresso:

“Cugnà com era u vin ?”

“Cwm i corna ch’avit n’a testa>>

“Minchia e chist è u r’ngraziamjnt?”

Il cognato uscì dal negozio con un bastone in mano inseguendo l’usciere che correva verso il palazzo comunale per salvare la pelle. Successe l’inferno, ci vollero diversi passanti per dividerli. Solo dopo due anni di liti venne fuori la verità e i due cognati tornarono a salutarsi, quando zio Ciccio non era più a Valguarnera, perché si era trasferito negli Stati Uniti.

Nino Santamaria

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