Quel giorno di gennaio, subito dopo le feste natalizie e il Capodanno, pioveva e quella pioggia era proprio ciò che serviva all’agricoltura: nè forte nè piano, in modo che i terreni seminati a grano l’assorbissero tutta. Si discuteva di questo all’interno del Circolo Operai San Giuseppe .
- Acussì i vddàn su cuntènt;
- Ma qual. Ora s lamèntan p’rchì chiov
- Iòcan e cart ne massara e senza travaghiar spèttan r rcoghjr u frumjnt.
Tra gli artigiani e gli agricoltori c’era, come si vede, grande solidarietà.
Mentre la discussione continuava sullo stesso argomento, altri soci, avendo finito di pranzare (era domenica), arrivavano al Circolo con l’ombrello. Mammano entrò, chiuse l’ombrello nuovo di zecca e invece di infilarlo nel portaombrelli lo posò dall’altra parte della stanza dietro la radio. Dopo di lui arrivarono altre persone tanto che il porta ombrelli non ne conteneva più. Il signor Di Prima con un ombrello nuovissimo, identico a quello del signor Mammano non volle mischiare il suo nuovo con quelli degli altri, così anche lui lo sistemò dietro la radio.
Si misero a giocare a carte, altri si sedettero sul divano a guardare la televisione.
Intanto, dopo un po’ smise di piovere. “Scampàu” disse qualcuno a voce alta in modo che tutti sentissero “ora i vddana s lamèntan ch l’acqua a stat picca”. Non finì di dirlo che manco a farla apposta si mise di nuovo a piovere. “Cuntent idd, cuntent tutt” tuonò don Cicc u pttur.
Vincenzo Giambra, seduto sul divano, guardava i due ombrelli identici collocati dietro la radio, e pensava che la cosa si prestava per scatenare l’inferno dentro il Circolo tra i due proprietari. Mentre i due erano presi dal gioco, Vincenzo senza essere visto, prese uno dei due ombrelli e lo spostò nel portaombrelli in mezzo agli altri. Assicuratosi che nessuno l’aveva notato, si avvicinò alla radio prese l’altro ombrello ed esclamò: “R cu è stu paràccu, quant m va catt i s’garett?”- “E’ u miu.” rispose Mammano. “U to sta minchia!” gridò Di Prima.
“Parra pulìt, pezz r pwrch!” - “Pwrch” c sii tu!” replicò Di Prima - “Ma, pezz r strunz, p’rchì a rir ch u paràccu è u to, ch mu cattati ajr?” esclamò Mammano - “Ma p’rchì iu mu cattai passanajr e strunz ci sii tu!”. Dicendo questo, Di Prima si alzò con una sedia in mano e si avventò contro Mammano. Due persone lo fermarono e a forza lo tenevano a bada. All’improvviso si sentì gridare: “Ferm tutt. No portaombrell c’è un paràccu u stiss precis, na vuliss ch fuss chist, taliat giust prima r mazzar’v. Cu è u patrun r stu paraccu ?”. Nessuno rispose. “At vist? Sit stunat. U paraccu u m’ndìstv cà e picca c vol ch v mazzat. Sembr iu c vwgghj p mint’r a pac. Avànt, ràtv a man e pagàtm u caffè. Don Calò va pìghiam un caffè e pàgan Mamman e Di Prima.”
I due che un momento prima stavano litigando, invitati da tutti i presenti, dapprima presero ognuno il proprio ombrello, poi si diedero la mano e si baciarono. Intanto il cameriere arrivò con il caffè e lo consegnò a Giambra. “Pagàm stu caffè a Giambra, ca s nan era p idd nàssm mazzat” disse con ammiccante saggezza Mammano a Di Prima.
Così chi aveva provocato l’incidente ci guadagnò pure il caffè.
Nino Santamaria